Simone Weil è al di sopra di ogni bipolarità, inclusa quella maschile-femminile: lo spiega bene la Del Serra nell’introduzione, sottolineando come la poesia per la Weil significhi diventare grazia all’interno della propria stessa gravità. Recentemente si assiste a un rinnovato interesse intorno a questa straordinaria figura (a proposito, a quando la ristampa della bella biografia di Gabriella Fiori per Garzanti?). E per capire la portata di questa riscoperta, basti pensare che Simone Weil incarnò l’impegno civile e sociale lottando sul campo oltre che scrivendo, al fianco degli operai, dei contadini e degli anarchici, di chiunque vedesse negati i propri diritti. Riuscendo infine a conciliare il suo acceso comunismo con l’adesione alla fede cattolica, le sue lotte passionali alla spiritualità più accesa e autentica: nell’assoluta adesione alla fede, rifiutò il battesimo per non escludere dalla sua vita coloro che battezzati non erano.
Illuminanti ancora di più se rilette oggi, le sue idee di società e politica che presuppongono un superamento degli stereotipi e un’adesione carnale e dolorosa alla verità. Mistica e combattiva, amata dalle femministe e presa a simbolo delle rivendicazioni, la Weil sfugge tuttavia a qualunque briglia, tale è la sua capacità di sovvertire ogni ordine costituito, ogni dato scontato, perfino ogni categoria linguistica. Poco prima di morire, nel 1943 in un sanatorio inglese, disse: “Non bisogna voler trovare”. Insieme alle poesie appena uscite, vale la pena recuperare tutta l’opera della Weil, iniziando dai volumi pubblicati da Adelphi (i quattro “Quaderni”, “Venezia salva” e la “Riflessione sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale”), SE (“La prima radice”, “La condizione operaia”), Rusconi (“L’ombra e la grazia”, “Attesa di Dio”) e Borla (“Sulla scienza”, “La Grecia e le intuizioni precristiane”).
di David Fiesoli
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