Disforia di genere. Che cos’è? Sempre di più leggiamo e sentiamo parlare di questa condizione, grazie in particolare al lavoro di associazioni ed attivistə ally e LGBTQ+. A volte però si utilizza il termine “disforia di genere” in maniera errata, mancando di rispetto chi vive questa condizione e generando inutili paure nei confronti di chi non ne ha ancora una conoscenza approfondita.
In occasione del mese dei Pride abbiamo deciso di fare un po’ di chiarezza su questo ed altri termini del glossario LGBTQ con l’aiuto prezioso di testimoni privilegiati, esperti ed elementi chiave i cui contributi sono molto rilevanti per un approfondimento il più corretto possibile.
Per aumentare la comprensione del significato di disforia di genere, abbiamo chiesto il contributo di Monica J.Romano, persona transgender, non-binary e scrittrice, che ha pubblicato testi come “Diurna” (Costa & Nolan) e “Gender (R)Evolution” (Mursia).”
Rispondendo ad alcune nostre semplici, ma essenziali domande, Monica ci ha aiutato, attraverso precise informazioni ed il racconto della sua esperienza personale, a costruire un articolo-intervista che si rivela una risorsa essenziale tanto per le persone LGBTQ+ quanto, ad esempio, per gli insegnanti e i genitori di bambinə che vivono la disforia di genere, persone che qui sul Web non riescono, magari, a chiarire alcuni dubbi.
Disforia di genere. Intervista a Monica J.Romano
Ciao Monica. Il termine disforia di genere può incutere timore per chi ancora non ne conosce bene il significato. Tra le FAQ di vari portali dedicati alla sanità ci sono le seguenti: “Ho letto che esiste la disforia di genere. Quindi sono un malato psichiatrico?” oppure “Mio figlio è un malato psichiatrico?”. Prova a spiegarci brevemente il significato di disforia di genere.
Con l’espressione “Disforia di genere” (come di esprime il DSM V) o “incongruenza di genere” (come la definisce l’ICD 11), ci si riferisce a una condizione caratterizzata da un profondo e insopprimibile disagio derivante dalla discrepanza fra il genere percepito/esperito e quello assegnato alla nascita, tale da compromettere aree di vita significative.
Dall’ultimo aggiornamento dell’International Classification of Diseases (ICD-11), l’incongruenza di genere è stata rimossa dalla categoria dei disordini mentali per essere inserita in un nuovo capitolo, quello delle condizioni di salute sessuale. L’ICD 11 entrerà in vigore dal 1 gennaio 2022.
Possiamo quindi ragionevolmente concludere che una persona che vive la disforia di genere non è da considerare affetta da patologia psichiatrica o “malato/a psichiatrico/a”
Essere transgender equivale necessariamente ad avere la disforia di genere?
Personalmente, negli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza, ho vissuto una disforia molto profonda, sia a livello intimo e personale, sia a livello sociale. Da una parte non mi riconoscevo in alcune caratteristiche del mio corpo e della mia fisicità – e di questo soffrivo moltissimo – dall’altra rigettavo il genere maschile che mi era stato assegnato alla nascita e, assieme ad esso, l’oppressivo schema binario “uomo-donna” delle aspettative di genere. Sentivo di essere altro, di essere altrove rispetto a quello schema dominante, e lo sento ancora. Per questo oggi mi definisco una persona transgender non binaria. Ma questa è soltanto la mia storia, soggettiva e, ovviamente, parziale.
Rispondendo alla tua domanda, dico che sì, si può essere persone transgender o gender non-conforming anche in assenza di disforia di genere. Non necessariamente i nostr* sono vissuti che raccontano disagio o sofferenza.
Nel famoso arcobaleno dei generi o “gender spectrum”, si può scegliere di posizionarsi altrove rispetto a ciò che la Norma prevede, e quella legittima scelta va rispettata.
Che differenza c’è tra varianza e disforia di genere?
“Gender variance” (“variabilità di genere”) è un’espressione utilizzata in diversi ambiti: dalla psicologia alla psichiatria, dall’antropologia fino ai gender studies, e può essere indicata come l’attitudine del genere sessuale a manifestarsi in una pluralità di sfumature.
Il termine transgender potrebbe, in realtà, essere utilizzato come sinonimo di “gender variance”, ma la prassi d’utilizzo di questa parola negli ultimi anni ha ormai ristretto la sua portata alla condizione di coloro che non si identificano con il genere assegnato alla nascita che, come è noto, in relazione alla ben più ampia realtà della variabilità di genere nell’essere umano, rappresentano solo la punta di un’iceberg.
Quali sono gli atteggiamenti comuni di una persona che ha una varianza e/o disforia di genere?
Direi che la persona gender variant “è”, esiste e si pone nel mondo seguendo quella che è semplicemente la sua natura, ciò che sente di essere a livello più profondo. È la società che la ingabbia nello schema binario, e infatti è il nostro sistema socio-culturale a doversi mettere in discussione su queste tematiche.
Spesso vengo contattata da genitori o insegnanti preoccupati perché hanno a che fare con bimbi che hanno atteggiamenti culturalmente definiti “femminili”, o bambine “maschili”. La preoccupazione deriva dalla paura che questi bambini potrebbero essere presi di mira dai compagnucci e, nel futuro, incontrare stigmatizzazione. Per me il problema è e resta culturale, della società in cui viviamo, e non di questi bambini. Questi bimbi – che potrebbero essere persone gender variant come no, saranno loro a deciderlo – dovrebbero potersi vivere, poter giocare e potersi sperimentare nel modo più libero e in uno spazio di non giudizio. Il problema è che si ritrovano in una dimensione di relazione che troppo spesso risulta permeata da omofobia, transfobia, sessismo e dai bias cognitivi degli adulti.
Nel caso di bambinə con disforia di genere quando è il caso che i genitori si rivolgano ad un medico? E quali consigli daresti per la scelta di unə specialista?
Premetto che il tema dei minori gender variant è davvero delicatissimo, e che risulta essenziale costruire attorno ai bambini/adolescenti e alle famiglie una rete di professionisti – psichiatri, psicologi, endocrinologi -, le cui professionalità e i cui curricula siano adeguati e all’altezza della situazione.
I professionisti con esperienza pluridecennale sulle tematiche di identità di genere e di comprovata serietà in Italia, fortunatamente, non mancano. È altresì essenziale che questi professionisti lavorino in sinergia con le associazioni transgender di riferimento. Ricordiamo anche l’encomiabile lavoro delle associazioni e dei gruppi di genitori di bambini e adolescenti gender variant. Uno di questi è “GenderLens“.
Una persona transgender con varianza e/o disforia di genere deve per forza scegliere un genere a quale appartenere ed iniziare un percorso di transizione?
Assolutamente no. Ricordo che esistono moltissime persone transgender “non med”, che decidono di non sottoporsi a terapie ormonali e interventi chirurgici, ma anche persone gender non-conforming che non si identificano necessariamente con uno dei due generi canonici. Fortunatamente, nell’arcobaleno dei generi, c’è molto molto spazio!
Grazie Monica per la tua disponibilità. Invitiamo, a chi fosse interessato nel prendere contatto con Monica J.Romano (per consulenze, organizzazione di formazioni presso aziende, scuole ed università e per informazioni sui suoi corsi-online) a visitare il suo sito www.monicaromano.it oppure a scriverle una mail a questo indirizzo: info@monicaromano.it
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