Il veterofemminismo ha contribuito a creare divisione tra maschile e femminile?

La parola femminismo sta acquisendo un'accezione più positiva negli ultimi anni, scardinandosi dal binarismo che crea conflitto trai generi. Ma cos'è il veterofemminismo? Lotteranno insieme i diversi femminismi?

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5 min. di lettura

Quando si parla di femminismo è corretto parlare al plurale perché di femminismi ce ne sono tanti e tante sono le persone che si dichiarano femministe, pur pensandola in modo diverso. Questioni, come i recenti dibattiti su Gpa e burkini, o quello “storico” sulla prostituzione, mostrano infatti idee contrastanti provenienti da diverse linee di pensiero, seppur femministe.

Lungi da questo articolo l’intenzione di ripercorrere la storia dei femminismi, è nostro desiderio piuttosto far luce su come si stia evolvendo l’accezione del termine femminismo e sul fatto che oggi si stiano facendo strada dei femminismi non separatisti, che non vedono il mondo come binario, composto cioè da due soli sessi e generi. Un valido progetto a tema può essere Educare alle Differenze, che con la sua terza edizione bolognese ha superato 800 partecipanti da tutta Italia.

Ma facciamo un passo indietro: se fino a dieci, ma forse anche cinque anni fa, il termine “femminista” era circondato da un aurea negativa, in molt* forse si saranno accort* che quello che la stessa parola comunica oggi si sta evolvendo verso qualcosa di più positivo, forse condivisibile o addirittura giusto. Si pensi ad esempio al fatto che Obama (per sostenere la Clinton) ha dichiarato quest’estate che “dobbiamo essere tutti più femministi”, o che Giuseppe Tassi, direttore de Il resto del Carlino, è stato recentemente licenziato in seguito a un titolo sessista sulle atlete olimpiche.

Pensate che questo sarebbe potuto succedere dieci anni fa?

Il fatto che il femminismo sia stato visto in modo negativo per qualche decennio è sicuramente dovuto al patriarcato che, sorretto da uomini e donne insieme, condanna ogni ribellione della donna dal “suo” ruolo. Ma potrebbe essere anche conseguenza di alcuni aspetti che hanno caratterizzato il movimento femminista?

Che tutt’oggi ci sia chi pensa che l’intenzione del femminismo sia quella del dominio della donna sull’uomo, contrario esatto di maschilismo, è preoccupante. Ciò è forse frutto di una cultura che non ha messo abbastanza in discussione il binarismo (una cosa o il suo contrario) con cui si è educat* a leggere la realtà. Un binarismo usato dal sistema per limitare le libere scelte e incasellare, perché la realtà, come ritengono molte linee di pensiero femminista, non è binaria in nessuno dei suoi aspetti. Quindi il contrario di maschilismo non deve essere necessariamente il fenomeno “opposto”, ma magari qualcos’altro, che non porti a uno scontro o a una gerarchia tra tutti i generi.

Come molti altri termini, “queer” stesso, la parola femminismo sta rientrando nel linguaggio comune con una minore stigmatizzazione. Oggi, ad esempio, molti giornali online hanno una giornalista o blogger femminista che si esprime su questioni legate a sesso e genere: Chiara Lalli su Internazionale, Eretica col suo blog sul Fatto Quotidiano sono soltanto due esempi.

Che questo femminismo sia spinto dalla crisi economica che, causando malessere fa aumentare i casi di violenza e femminicidi, ed economicamente colpisce più le donne, già penalizzate maggiormente sul mercato del lavoro, è molto probabile. Che lo scambio di informazioni e notizie sia massiccio grazie a internet, è evidente. Fatto sta che, se dieci anni fa l’italiano medio riteneva che le femministe fossero gruppi di donne, spesso lesbiche, che odiavano l’uomo, oggi chi si aggiorna un minimo su come gira il mondo ha capito che l’odio per il maschio non è il modo adatto di riassumere il femminismo.

Ma da cosa deriva l’accezione comune del termine femminismo?

L’idea più comune di femminismo deriva tendenzialmente dalla cosiddetta “seconda ondata”, nata col ’68, che ha prodotto molta cultura intorno alla necessità identitaria delle donne di “esistere” come gruppo sociale, e intorno alla rivendicazione della parità con l’uomo che, fino a quel momento, aveva controllato pressoché qualsiasi cosa della vita pubblica e sociale.

In quel momento c’era un forte bisogno di affermarsi, di confrontarsi, di informare e informarsi, di separarsi, di solidarizzare con altre donne per difendersi da un patriarcato “alfa”.  Per questo iniziò la creazione di un’identità femminile salda e contrapposta a quella dominante, un’identità basata principalmente sulla differenza sessuale, quindi biologica, tra uomo e donna. Non è un caso che pochi anni dopo sia nato il movimento gay italiano, con un simile bisogno. Noi stigmatizzate, sottomesse, discriminate, vostre serve (non era Hegel che diceva che “il servo, alla fine della fiera, è più libero del padrone perché è indipendente”?) e voi unici protagonisti della realtà esistente, voi uomini, voi etero, un “noi e voi” necessario a mettere in luce gravi differenze di status sociale che causavano, e causano tutt’ora, molte delle violenze esistenti.

Le teorie accademiche e molto del sapere, come si può immaginare, tardano tempo a diventare coscienza comune, ed è proprio in questi ultimi anni che più generazioni, educate da diversi femminismi, usano internet e non solo per informarsi e condividere, rischiando di diventare tutt* sempre più femministi e femministe.

Cosa s’intende per veterofemminismo?

Vetero è “un prefissoide che significa ‘vecchio’, frequentemente usato in vocaboli recenti, di solito nel linguaggio politico e giornalistico”, per indicare qualcosa di antico, tradizionale. Secondo la Treccani la nascita del termine veterofemminista risale al 1994, mentre quella di veterofemminismo al 2000, momenti in cui il femminismo della seconda ondata venne evidentemente definito da qualcun* come qualcosa che si era “evoluto”.

Il veterofemminismo è fondamentalmente caratterizzato dall’idea che tra uomo e donna vi siano invalicabili differenze biologiche, che influenzano il comportamento e il modo di essere rendendo l’uomo e la donna due esseri ben distinti con diverse caratteristiche. Il veterofemminismo è sicuramente un movimento fondamentale per unire le donne e creare coscienza femminile e femminista, ma è anche un possibile limite all’evoluzione egualitaria poiché, sottolineando le differenze, rischia di non mettere a fuoco le uguaglianze. Accogliente e protettivo, il separatismo potrebbe aver contribuito a creare scontro e non sintesi, emancipazione femminile e non maschile, pur rimanendo ad oggi ancora una pratica utile a quanto detto sopra.

Secondo alcune femministe il dono di dare la vita rende la donna un essere più complesso, migliore; per alcuni gruppi vi sono stati problemi a includere le donne transessuali (MtF) nei gruppi separatisti. Da qui in opposizione l’idea transfemminista: “Donna non si nasce, lo si diventa“. E’ possibile che anche la chiusura nei confronti della bisessualità e la convinzione che questa sia soltanto una fase di passaggio o una “scusa” per reprimere l’omosessualità derivi dalla visione binaria, che il femminismo nel tempo ha contribuito a edificare e ha difficoltà a mettere in discussione.

Per i femminismi più recenti, o “post”, è molto difficile, dopo migliaia di anni di patriarcato, razzismo, fallocentrismo, capire quanto le differenze biologiche tra uomo e donna influiscano sulle diversità esistenti tra i generi. E il dubbio che la cultura patriarcale possa aver causato la maggior parte di queste differenze, con un’educazione centrata sulla differenza tra soggetto (l’uomo) e oggetto (la donna), è forte.

L’idea di identità fluida, dell’esistenza di tanti generi indipendenti dal corpo che li ospita, il bisogno di transitare liberamente da un genere all’altro nel corso della vita o di performare un genere diverso da quello attribuitoci, come l’orientamento sessuale fluido, sono solo alcuni degli aspetti che il veterofemminismo ha oggi difficioltà a fare propri, a differenza dei postfemminismi delle ultime due decadi: forse perché si tratta di bisogni più attuali, connessi alla società liquida nella quale viviamo da non molto.

E’ possibile che la comunicazione orizzontale, che i femminismi usano da sempre come pratica, avvicini le correnti di pensiero, come altre realtà e soggettività con lo stesso bisogno di decostruire il sessismo e gli altri “fenomeni” contro l’umanità. Intanto, la manifestazione Non una di meno del 26 novembre a Roma, sarà una buona occasione per conoscere le attuali forze e persone in campo, tutte unite contro la violenza sulle donne.

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Ridimmy 14.10.16 - 16:00

Concordo con le considerazioni dell'articolo. Vorrei porre una questione però, per aprire qui una discussione. Non pretendo che la questione che pongo sia sensata o ben posta, non sono una esperta, quindi cerco di mettere sul tavolo tutte le premesse, in modo che se qualcun* nota delle cavolate potrà farmelo notare e ringrazio in anticipo :) . Chiedo anche scusa se farò un commento-papiro. Dunque.. >La contrapposizione che il femminismo della terza ondata vede e combatte non è tra maschio e femmina biologicamente intesi (come in modo riduttivo si potrebbe attribuire al femminismo della seconda ondata) ma tra diversi complessi di costrutti culturali che oltre inchiodare maschi e femmine cis etero a dei ruoli fissi (che, non dimentichiamolo però, gravano di più sulle seconde in termini di negazione alla propria autodeterminazione), costringono qualunque altra persona a uniformarsi a tale binarismo eteronormativo e cisnormativo. >In parte questa impostazione (mi pare) era già presente e accettata (non senza contraddizione secondo me) anche dalle esponenti del femminismo della seconda ondata. Le femministe della differenza ad esempio non attribuiscono la violenza al maschio in quanto tale ma parlano di cultura dello stupro, cultura del femminicidio, ovvero di una "atmosfera tossica" che respiriamo tutt*. La contraddizione (che vedo io ma magari sbaglio), rimanendo su un punto di vista rivendicativo/oppositivo tra maschi e femmine è che non si capisce perché i maschi dovrebbero essere più responsabili di questa nube posto di non recuperare l'idea che respirarla avendo un pene o una vulva sortisca effetti differenti, ricadendo in una visione binaria dei sessi. >Una posizione più coerente dal mio punto di vista è quello del femminismo della terza ondata che abbandona l'idea (binaria) di una femminilità sostanziale, una specie di idea platonica dell' "esser donna" e si concentra sui costrutti culturali, alla loro analisi critica senza attribuirli ad un sesso particolare. Questo perché il femminismo della terza ondata (correggetemi se sbaglio) non ha in tasca modelli culturali immutabili da sostituire a quelli esistenti ma si propone di essere metodo critico dell'esistente ponendo l'enfasi sulla legittimità di ciascun* di autodeterminarsi anche fuori e anche contro di essi e l'illegittimità di ogni violenza tesa a ostacolare questa autodeterminazione. La questione che pongo però è questa. Ora, nel momento in cui dissolviamo (e io sono nel lasciare da parte questo fantasma) "il femminile" come "sostanza" eterna, che sia intesa come "cultura delle donne" o che sia intesa come "proprietà biologica" dalla quale trarre misura di cosa dovrebbero essere le persone di sesso femminile e da ciò la misura di tutto il resto, dissolviamo anche l'aporia della contrapposizione tra sessi che non permette di allargare il concetto di diritto all'autodeterminazione a tutt*. Ma se si intende il femminismo come un metodo di emancipazione da un complesso culturale che si avverte come oppressivo, estraneo al proprio progetto di autodeterminazione e non come un complesso di saperi/costrutti culturali delle donne per le donne... cosa resta del femminismo? Perchè continuare a usare questo termine per designare il metodo critico che sta alla base della modernità? Mi spiego meglio. Se femminismo è rivendicazione della superiorità dell'autodeterminazione della persona sullo stato di fatto culturale nel quale quella persona si trova sentendolo oppressivo, che differenza c'è tra esso e l'esperienza della modernità cominciata secoli fa, ovvero di quel pensiero che abbandona l'idea di un ordine eterno ed esterno al mondo dell'umano (dio, la natura, le ideologie, gli "immutabili") al quale l'umano deve conformarsi, per prendere coscienza che tutto è una costruzione culturale dinamica e che quindi non c'è giustificazione alla violenza contro la persona per mantenere su di essa uno stato di fatto culturale in nome di un "immutabile"? Chiedo scusa per la lunghezza e l'oscurità.. ma veramente mi piacerebbe raccogliere delle critiche alle premesse sulla questione o sentire cosa ne pensate. Grazie a tutt* :)

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    Elle Lu 17.10.16 - 12:47

    Risposta interessante e ricchissima di contenuti, grazie davvero. Non so se ho capito bene però: intendi dire che la parola "femminismo" dovrebbe cambiare e ampliare, anche etimologicamente parlando, la sua sfera di azione/coinvolgimento? In tal caso, visto che anch'io condivido la critica al linguaggio e l'innovazione dello stesso in modo più inclusivo e antisessista, sono d'accordo con te. Soltanto che credo servano dei passaggi graduali nella trasformazione del linguaggio, ovvero che prima sia necessario che il termine "femminismo" non abbia più un'accezione negativa, residuo della storia con le sue mille variabili, e nel mentre o dopo credo che possa essere coerente e intelligente che si inizi a pensare come la parola possa evolversi in qualcos'altro. Se è questo che intendevi dire :)

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      Ridimmy 23.10.16 - 15:07

      Intanto grazie per aver risposto e scusami se ti rispondo solo ora. Sinceramente volevo porre una questione di sostanza su alcune posizioni delle correnti interne al femminismo. Provo a spiegarmi. Il femminismo della seconda ondata è rivendicativo, si identifica in una femminilità collettiva ("noi donne") e guarda alla collettività dei maschi come gli Ebrei del Vecchio Testamento potrebbero guardare agli Egiziani. Le donne sarebbero un popolo disperso e reso schiavo e immemore della sua coscienza di "popolo eletto" dalla schiavitù che ha interiorizzato. C'è infatti tutta una mitologia sul matriarcato (teorie per altro interessanti e per nulla campate per aria ma in questo caso trasformate ideologicamente) che darebbe una continuità narrativa a questa impostazione rivendicativa. Ora sarebbe facile colpire questi elementi che non sono quelli esclusivi di quel femminismo che è stato e che continua ad essere il femminismo radicale, il femminismo che oggi ha una presa più forte di altri nelle istituzioni, per altro. Il femminismo della seconda ondata ha avuto il merito storico innegabile di evidenziare come la lotta per la parità dei diritti legali fosse il meno ai fini di una reale parità tra i sessi (ma non solo: vale per qualsiasi altra collettività discriminata, ad esempio gli afroamericani) in una società come quella contemporanea. Non sto qui a dilungarmi su questo aspetto, sono sicura che comprenderai perché ritengo strumentali e superficiali quelle critiche al femminismo che lo riducono agli slogan del femminismo radicale anni '70. Ci sono fasi necessarie per poter avviare cambiamenti concreti e le "esagerazioni" di quel movimento era una fase necessaria per dire alle donne (e agli uomini) che (solo un aspetto che mi viene ora a mente) l'indipendenza economica in una società come la nostra è il minimo dal quale partire per parlare seriamente di diritti, e che il vecchio modello dove lui porta il pane a casa e lei cucina non era più proponibile. Tuttavia non è nemmeno possibile non ripensare i limiti di questa impostazione, cosa che si propone di fare il femminismo della terza ondata. E qui arriva il problema. Se il femminismo della seconda ondata ha basato sulla differenza fisiologica e quindi necessariamente dualistica del sesso le sue istanze rivendicative, quello della terza ondata ha preso le distanze da questo elemento fondante forse in modo troppo reattivo, negandolo categoricamente invece di ricollocarlo in un contesto che non si prestasse alla visione arcaica per cui da un certo sesso dovrebbe discendere, per "decreto divino" o "naturale" un ruolo sociale rigido ed esclusivo. E' sul dimorfismo sessuale umano che questa visione arcaica (e oggi reazionaria) prende le mosse infatti, ma lo fa utilizzando un ragionamento analogico tipico del mondo antico che oggi potremmo anche lasciarci alle spalle: se c'è qualcosa che la scienza sta dimostrando è quanto complessa, intricata e per nulla univoca sia la relazione tra genoma umano e gli aspetti sociali più complessi. Perché a mio avviso non è necessario negare il peso del dimorfismo sessuale nella costruzione degli elementi culturali nel quale viviamo al fine di demolire i costrutti culturali che riteniamo violenti e sessisti? Perché ritengo che oltre ad essere inutile questa negazione categorica essa arriva a svuotare si significato proprio il termine "femminismo" consegnandolo a una diffidenza insofferente quando (giustamente) ne rivendichiamo nei contenuti teorici l'assoluta novità e necessità? Provo a spiegarmi. Ovviamente sto solo esponendo i miei pensieri senza pretendere che siano validi o che siano non intaccati da un sessismo latente che non riesco a vedere. Dico come vedo le cose con lo scopo di raccogliere critiche e crescere :) Dunque I limiti teorici del femminismo radicale stavano nell'impossibilità di individuare il "gene del patriarcato" nel cromosoma Y e quindi nel dover ammettere che il patriarcato è una costruzione culturale nella quale donne e uomini difficilmente possono essere visti come soggetti collettivi fuori dalla storia (ovvero determinati solo dalla genetica) dove uno è costruttore di carceri culturali e l'altro fatalmente la vittima. Se così fosse come sperare in un cambiamento? Ma soprattutto se la divisione degli spazi, dei ruoli, dei compiti è una imposizione per tutt* (come giustamente rileva il femminismo 3a ondata) perchè un maschio del mondo contadino chiamato dalla società a fare la stessa vita di suo padre sarebbe dovuto essere più libero e autodeterminato di sua moglie chiamata dalla stessa società a fare la stessa vita di sua madre? E' vero che il femminismo della 3a ondata recupera nel concetto di "privilegio maschile" la carica rivendicativa del femminismo della seconda ondata, ma sinceramente una volta staccata radice del patriarcato dal cromosoma Y per individuarla in una cultura generata da una indivisibile compagine di persone accomunate dall'appartenere a un certo ceto o a una generazione, cosa renderebbe più responsabile un maschio nato nel 500 a.c. Di una donna nata nel 1000 a. c. Della "cultura maschilista" e del "privilegio maschile"? E in ultima analisi, se si svuota di significato il dimorfismo sessuale come fattore irriducibile ad altri dei problemi ai quali il femminismo tenta di rispondere "dal punto di vista di chi non vede il mondo da dietro un *azzo"... cosa rimane del femminismo in quanto insieme di saperi irriducibili alla "cultura maschile"? Credo che non si debba temere di assumere che il dimorfismo sessuale nella nostra specie crei delle tensioni che poi a seconda di come una certa società ha tentato rispondervi culturalmente generino quelle problematiche che con il mutare del contesto storico possono aver fatto trovare il sesso femminile (e quindi chiunque si trovi in relazione con la sfera di significati costruiti attorno all' "esser femmina") in una situazione di oggettiva subalternità. Negare che avere un utero ed essere potenzialmente (un tempo necessariamente) madri, ovvero portatrici per nove mesi della "discendenza della nostra specie" non induca una differenza sostanziale e irriducibile tra i sessi mi sembra veramente fuori dalla realtà. E con ciò non sto dicendo che da quella differenza si debba concludere la necessità di un certo set di caratteristiche o una funzione sociale predefinita (nè che il dualismo fisiologico dei sessi non conosca gradi intermedi anche a livello fisiologico che hanno tutto il diritto di autodeterminarsi fuori dal dualismo maschio-femmina per non parlare delle architetture simboliche sopra costruite) ma negare l'irriducibilità dell'elemento del dimorfismo sessuale a mio avviso fa collassare qualsiasi discorso femminista a cronaca di un mutamento culturale che non ha alcuna specificità propria irriducibile alla dialettica tra generazioni originata dalla critica radicale iniziata col pensiero moderno rispetto al pensiero del mondo antico, basato sulla stabilità, l'equilibrio e l'idea che il mondo umano debba conformarsi a qualche modello trascendente. Invece ritengo che nell'esperienza femminista emergano degli elementi irriducibili a questo, che hanno un valore a se stante. Non si tratta perciò di mettere un buon profumo sulla parola femminismo, ma determinare finalmente un suo significato che, se da una parte sarebbe sbagliato e ingenuo pretendere univoco, certamente dovrebbe tener conto di contraddizioni che impediscono di coglierne l'irriducibilità ad altri paradigmi di pensiero. Spero di non essere stata troppo oscura. Ripeto che il tono perentorio di quanto sopra è solo per (tentare di) essere chiara e offrire ad altr* la possibilità di farmi vedere qualche elemento del ragionamento che dovrei controllare meglio. Ti ringrazio ancora per la pazienza ;) Ciao :)

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fabulousone 13.10.16 - 17:29

Articolo interessante. A mio umile parere chi tira in ballo tutela delle donne per scagliarsi contro la libertà altrui, contro la libertà delle persone in generale di fare quello che vogliono col proprio corpo, coi propri genitali, arrivando persino a straparlare di sfruttamenti, compravendite di esseri umani e a esigere divieti, sanzioni e criminalizzazioni a destra e a manca non merita minimamente di essere considerato femminista, né vetero né di altro tipo. Le ritengo persone che strumentalizzano il femminismo e il tema stesso dei diritti delle donne per portare avanti un'agenda retrograda, moralista, paternalista, astiosa e liberticida, spesso pure ostile a chi è trans o queer, insieme ai vari cattolici di turno. Parte dell'avversione che c'è in giro verso il femminismo deriva proprio dalle pretese medievali, cagnesche e liberticide di questa gente, non da preconcetti vari.

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    Ridimmy 14.10.16 - 16:29

    Mi trovo d'accordo su molto di quello che dici ma non riesco ad essere così dura con le femministe "vetero". In effetti pensare il femminismo come un sapere a sè stante definito da qualche arcano segreto custodito dalle donne e che solo le donne possono comprendere non può che nascere e tradursi in quel dualismo che poi in molte lotte concrete, questo non dobbiamo dimenticarlo, lo stesso femminismo della seconda ondata ha contribuito almeno ad evidenziare e a combattere. Certamente, con te, credo, direi che mentre il femminismo della seconda ondata si è cristallizzato in questo "assetto da battaglia" contro una cultura (ancora) maschilista, quello della terza non ha abbandonato questa lotta ma l'ha inquadrata in una visuale più amplia oltre questo muro binario. E in effetti, se ci stiamo preoccupando delle reazioni a pelle che suscita la parola "femminismo" Il problema è: che senso ha chiamare con lo stesso termine due cose così differenti?

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      fabulousone 14.10.16 - 17:07

      Io mi sono riferito al fatto che a quanto posso notare c'è gente che, dicendosi femminista, dicendo di essere per i diritti delle donne, insiste affinché lo Stato restringa la libertà di fare ciò che si vuole col proprio corpo, coi propri genitali, sanzioni e metta in galera chi fa del sesso consensuale a pagamento o ha dei figli grazie alla gestazione per altri, tratti le donne come individui incapaci di gestire se stessi, come delle specie di bambine, vittime per definizione da proteggere a suon di divieti, proibizioni, e anche vestiti che coprano il loro corpo nelle varie pubblicità e nei programmi tv. Lo abbiamo constatato per l'ennesima volta in questi mesi, vedasi gli appelli liberticidi contro la gestazione per altri. Questo non lo posso considerare femminismo. Per niente. Questo lo considero moralismo, mentalità retrograda, paternalismo, uso vergognoso dei diritti delle donne per passare come dei caterpillar sulla libertà delle donne stesse, delle persone in generale.

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        Ridimmy 14.10.16 - 17:09

        Su questo non posso che sottoscrivere.

        Avatar
        Elle Lu 17.10.16 - 12:27

        Esatto, il punto è proprio questo: sentirsi in diritto di decidere per altre o altri, perché ci si sente nel giusto più di altre o altri è liberticida e relega le altre donne in una posizione di "inferiorità morale" rispetto a chi si esprime in questi termini, ovvero giudicando.

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