Questa è la storia di Antonio.
Che ora non c’è più.
Il prossimo giugno io compio 32 anni, Antonio ne avrebbe compiuti 33. Antonio come me aveva contratto il virus dell’HIV. Era di Benevento, in Campania. Quando ha scoperto di avere il virus era già in AIDS. Ovvero il suo sistema immunitario era già compromesso. Troppo. Ma comunque i dottori c’hanno provato. Hanno provato a curarlo.
Coi farmaci che ci sono oggi, gli antiretrovirali, ormai i medici riescono a salvarti la vita anche a quel punto, quando è tardi, molto tardi. Ma non è detto. Possono subentrare delle complicazioni. Ad Antonio sono subentrate.
Antonio non è stato solo sfortunato, Antonio ha subito ciò che nessuno dovrebbe subire mai. Antonio è stato allontanato dalla famiglia. Persino in punto di morte.
Perché gay e malato della malattia dei gay.
Ha cercato fino all’ultimo di parlare con sua madre. Non è servito. Il bisogno di non farsi contagiare dallo scandalo di Antonio ha avuto la meglio. Antonio è morto. Io sono vivo.
E se sono vivo – sia chiaro – è anche perché mia madre ha pianto ma è stata subito pronta a metterci la faccia e le mani e le gambe per rimettere in piedi pure me, che ero crollato come i palloncini sagomati – l’unicorno, la sirena, Peppa Pig – quando passano troppi giorni e i gas leggeri se ne vanno in cielo.
Sono vivo perché il mio ragazzo non ha avuto paura e io ho sentito sempre, mentre strisciavo, che dovevo venirne fuori soprattutto per lui e per noi. Per l’amore che è la mia ragione di vita.
Sono vivo perché ho deciso di rendere la mia vicenda personale e clinica di dominio pubblico e non più un fatto privato, oscuro e vergognoso. Affinché, ad esempio, tutti quelli che si schifano e discriminano e rifiutano persino i figli abbiano perlomeno il vago sentore che i malati e i pervertiti in realtà sono loro.
https://www.gay.it/attualita/news/muore-aids-rifiutato-famiglia-napoli
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è sacrosanto non emarginare, far capire chiaramente che non c'è nulla da temere dai contatti con un sieropositivo, ma è un obbligo e un dovere morale essere intransigenti sulla prevenzione: fino a quando non tireranno fuori un vaccino, l'unico modo per isolare il virus è prestare attenzione a proteggersi correttamente durante i rapporti sessuali. La sieropositività non è una passeggiata, dipendere da un farmaco che su alcune persone può avere severe controindicazioni non è una condizione di vita da sottovalutare. Che la pur necessaria lotta allo stigma non veicoli un messaggio di sottovalutazione.