Cos’è stato detto alla conferenza internazionale sull’Aids in Sud Africa

Molte le personalità scientifiche coinvolte, ma anche star dello show business impegnate da tempo nel sostegno alla lotta contro l'AIDS, come Elton John, il Principe Harry, Charlize Theron, Bill Gates.

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È giunta alla conclusione la 21esima conferenza internazionale sull’Aids, organizzata da IAS (International AIDS society), di nuovo a Durban dopo sedici anni. Il Sudafrica parlando di HIV non è un luogo qualunque: è il paese con il più alto numero di sieropositivi in trattamento e di persone non ancora diagnosticate. Molte le personalità scientifiche coinvolte, ma anche star dello show business impegnate da tempo nel sostegno alla lotta contro l’AIDS, come Elton John, il Principe Harry, Charlize Theron, Bill Gates. 

Se è un dato che ormai si è riusciti a limitare il passaggio del virus da madre a bambino, ancora molti adolescenti sono sieropositivi e nascondono di esserlo. Così come le donne e le categorie più a rischio, dai trans a gay, lesbiche, uomini che hanno rapporti con altri uomini, sex workers, per i quali, in una affollatissima sessione plenaria, la popstar Elton John ha annunciato, insieme al Pepfar (il fondo speciale messo a disposizione dalla Casa Bianca), uno stanziamento di dieci milioni di euro per gli interventi nei confronti delle persone discriminate per il loro orientamento sessuale.

Le questioni affrontate ai vari interventi della conferenza hanno di fatto toccato ogni aspetto del mondo HIV.

Obiettivo 90-90-90

Rinnovato l’impegno per la tradizionale formula tripartita: 90% delle infezioni da HIV diagnosticate, 90% delle persone trovate HIV-positive in trattamento anti-retrovirale, 90% di queste ultime con carica virale soppressa. I tre obiettivi sono fondamentali da raggiungere, per sperare di porre fine all’epidemia di AIDS entro il 2030. Un report pubblicato domenica da UNAIDS mostra che si stanno facendo dei reali progressi verso questo traguardo. Alla fine del 2015 erano infatti 17 milioni le persone che ricevevano il trattamento antiretrovirale e, a livello globale, è diagnosticata oltre la metà delle infezioni da HIV stimate; il 46% delle persone al corrente del proprio stato di sieropositività ricevono la ART, e il 38% di questi ultimi sono riusciti ad abbattere la carica virale a livelli non rilevabili. Dai dati emergono tuttavia delle disparità tra le regioni mondiali, con Est Europa, Asia centrale e Africa occidentale e centrale che non riescono a tenere il passo con i progressi compiuti altrove.

Terapia preventiva

La Prep (profilassi pre-esposizione), è una terapia orale (ma è allo studio una formulazione iniettiva e una di impianto sottocutaneo, di lunga durata, circa due mesi) che va somministrata ai non infetti con comportamenti sessuali ad alto rischio. In Francia è coperta dal sistema sanitario nazionale. Anche in Africa – ma per il momento solo in Kenya e Sudafrica – è utilizzata per la sua grande efficacia nel prevenire le nuove infezioni anche nelle popolazioni ad alto rischio, come i sex workers. In Italia gli attivisti premono perché venga rimborsata dal sistema sanitario. Una novità presentata al congresso è la possibilità di usare la Prep poco prima di un rapporto sessuale rischioso. La cosiddetta Prep on demand.

Nuove terapie

Una delle novità è la terapia antiretrovirale con due soli farmaci – dolutegravir più 3TC – anziché tre, che rompono lo schema della tripletta. Con costi più bassi e meno effetti collaterali. Un’altra novità riguarda i prodotti a lunga durata, farmaci costruiti attraverso la nanotecnologia, che consentirebbero di assumere la terapia con un’iniezione ogni due mesi. Un grande passo avanti considerato che la terapia al momento va assunta per tutta la vita.

Vaccino

Il vaccino preventivo si avvicina, poiché è stato scoperto come far produrre al nostro organismo quegli anticorpi che neutralizzano il virus, meccanismo alla base di tutti i vaccini. È già stato testato sui macachi, ottenendo una protezione del 100 per cento dal virus. “Certo ci vorranno almeno 5-6 anni ancora – spiega Stefano Vella, esperto di Aids dell’Istituto superiore di Sanità, a Durban per la conferenza – per studiare l’efficacia e la sicurezza sull’uomo. Ma la strada sembra promettente”.

Obiettivo eradicazione

L’obiettivo è ovviamente l’eradicazione del virus dall’organismo, ovvero la scomparsa totale, così come si è riusciti a fare con le nuove terapie per il virus dell’epatite C. Cosa non facile poiché quello dell’HIV è un retrovirus che si integra nel nostro Dna e in alcune cellule che diventano serbatoi del virus stesso, i cosiddetti reservoir. Snidare il virus nascosto in queste cellule non è facile, ma con nuovi approcci – che includono l’uso di alcuni anticorpi monoclonali già sperimentati nei tumori – si otterrebbe una risposta del nostro sistema immunitario forse in grado di distruggere questi serbatoi. L’approccio si chiama shock and kill, ovvero risveglio del virus e uccisione del virus stesso e delle cellule che lo ospitano.

Altra sperimentazione – forse anche rischiosa, e per questo discussa dalla comunità scientifica – è quella di riuscire a manipolare il materiale genetico, cercando di tagliare il virus integrato nella parte del nostro Dna. Il dubbio etico è che con una terapia antiretrovirale oggi così efficace non abbia senso percorrere strade potenzialmente rischiose per il paziente. Ogni nuovo approccio dovrà non solo essere efficace, ma soprattutto sicuro per il paziente.

Prezzi dei farmaci

Secondo un rapporto presentato a Durban da ‘Medici senza frontiere’, mentre i prezzi dei farmaci per la prima linea sono calati dai circa 500 dollari del 2007 agli odierni 150 circa, i prezzi di quelli per la seconda linea – cioè per i pazienti che hanno fallito la prima linea e devono dunque ricorrere ad altre molecole – sono calati dai circa mille dollari del 2007 ai 250 di oggi. Le seconde e terze linee più avanzate, con i farmaci innovativi, hanno però ancora prezzi elevati, circa 1900 dollari all’anno. Costi poco sostenibili dai sistemi sanitari dai paesi in via di sviluppo, anche se sostenuti dal Fondo globale. “Raltegravir e darunavir sono purtroppo costosi da produrre anche come farmaco generico – continua Stefano Vella – la speranza è di costruire combinazioni di seconda e terza linea con nuovi inibitori dell’integrasi (dolutegravir) che costerebbero molto meno, anche per una minore quantità di materia prima utilizzata. Quaranta milligrammi per dolutegravir contro gli ottocento del raltegravir”.

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