Gli aspetti relazionali, sentimentali ed emotivi delle donne che amano le donne passano spesso in secondo piano nella società eteronormata, patriarcale e machista nella quale viviamo: per lungo tempo la rappresentazione delle lesbiche ha posto l’accento sulla mera sessualità, delegittimando di fatto l’attrazione affettiva/sentimentale a favore di quella sessuale. 

Dall’industria pornografica fino alle rappresentazioni televisive e cinematografiche, c’è stata, fino ai tempi più recenti, un’ipersessualizzazione delle lesbiche: i contenuti sono sempre stati pensati dal punto di vista dello sguardo degli uomini etero e cisgender, una prospettiva vouyeristica che ha fatto sì che il sesso tra donne diventasse un vero e proprio oggetto di fantasie erotiche. 

Essere lesbiche può risultare, quindi, ancora difficile, seppure la coltre di silenzio sull’aspetto sentimentale e romantico si stia pian piano dipanando grazie ai coming out di personaggi pubblici, a nuovi film e serie, che portano alla luce in maniera autentica, veritiera le relazioni tra donne, rapporti d’amore che pian piano non vengono più inquadrati dal punto di vista meramente sessuale. 

Qui di seguito, cerchiamo di percorrere, a somme linee, tutto ciò che fa parte della storia del termine, della cultura e della comunità lesbica: un breve compendio che ha come obiettivo quello di dare la giusta rappresentazione all’amore omosessuale tra donne. Fanno seguito le ultime notizie del nostro portale in merito all’argomento “lesbiche”. 

Prosegui ora nella lettura per approfondire di più. 

INDICE: 

  • Lesbiche: origine del termine e la sua evoluzione
  • Lo slang della comunità LGBTQIA+ per riferirsi alle lesbiche
  • Giornata della visibilità lesbica: perché è ancora così importante celebrarla

lesbiche approfondimento

Lesbiche: origine del termine e la sua evoluzione

La parola “lesbica” vuol dire letteralmente “abitante dell’isola di Lesbo”, l’isola greca dove visse la poetessa Saffo, nota per le sue poesie dedicate alla bellezza, alla sensualità femminile e all’eros tra donne. 

Il termine e i suoi derivati però, a differenza di ciò che si pensa, hanno assunto il significato attuale in tempi non così lontani: ad esempio, uno dei primi usi della parola “lesbismo”, per descrivere le relazioni erotiche tra donne, si fa coincidere temporalmente alla metà del 1800, nonostante la parola “lesbienne” fosse diffusa in Francia già dal XVI secolo. Soltanto con la condanna per oltraggio delle poesie di Baudelaire (1857), il termine “lesbica” divenne patrimonio linguistico diffuso.

Precedentemente, la parola “lesbica” si riferiva esclusivamente agli aspetti relativi all’isola di Lesbo: ad esempio, un tipo di vino poteva essere definito tale.

Anche il sinonimo “saffico” affonda le radici in tempi piuttosto recenti, più o meno in concomitanza con il diffondersi della parola “lesbica”, ovvero quando gli studiosi iniziarono ad interessarsi alle poesie di Saffo, la cui narrazione era incentrata su un sincero amore lesbico. 

Nel 1890, il termine “lesbica” fu usato per la prima volta in un dizionario medico per descrivere, appunto, il tribadismo (altro sinonimo di “lesbismo”, che fa riferimento in maniera più specifica all’atto sessuale). In seguito l’utilizzo del termine nella letteratura medica divenne prominente. 

Nel 1925, la parola assunse un connotato negativo: fu registrata come l’equivalente femminile di sodomita, insulto per riferirsi ai gay.

A partire dagli anni ‘70, grazie al lavoro di alcuni sessuologi e psichiatri, come Charlotte Wolf e al crearsi di una comunità di persone accomunate, non solo dall’orientamento sessuale, ma anche dalla lotta per i diritti delle donne, la parola “lesbica” iniziò ad essere rivendicata ed adottata

Monique Wittig, tra le fondatrici del “Movimento di liberazione delle donne” in Francia (1970) e tra le più autorevoli e influenti esponenti del femminismo radicale e del lesbismo materialista a livello internazionale, negli anni Settanta fece grandi lotte per risignificare la parola “lesbica”. Queste alcune sue parole, estratte dal testo della conferenza alla Modern Language Association di New York che tenne nel 1978: 

“Lesbica è una parola che si porta dietro un carico denigratorio troppo pesante da ignorare, e fin tanto che sarà così, io continuerò ad usarla e alla meglio risignificarla”.

Oggi la parola “lesbica” è usata con orgoglio dal movimento LGBTQIA+: come vedremo più avanti, esiste una giornata della visibilità e dell’orgoglio delle lesbiche, uno slang della comunità e una cultura lesbica ormai ben radicata. 

Lo slang della comunità LGBTQIA+ per riferirsi alle lesbiche

Nella cultura lesbica e in quella dell’intera comunità di persone LGBTQIA+ esistono ulteriori terminologie per riferirsi alle lesbiche, parole che si differenziano tra loro per determinati aspetti, come ad esempio quelli relativi all’espressione di genere, ovvero al modo, all’insieme dei comportamenti, alle apparenze e agli interessi con cui una persona si presenta alla società.  

Ecco 3 dei termini, con la relativa spiegazione, che vengono maggiormente utilizzati dalle lesbiche di tutto il mondo.

Butch 

Con il termine “butch” (tra gli equivalenti italiani, “camionista” e “cravattona”) ci si riferisce alla lesbica più mascolina di tutte. Lo stile delle lesbiche butch è composto da vestiti tipicamente maschili, spesso larghi così da nascondere eventuali forme. I capelli sono generalmente corti. Il make up è assente nelle lesbiche butch. Inoltre, per definirsi tale, una lesbica butch dovrebbe possedere un corpo massiccio e lineamenti piuttosto “duri”. 

Femme

Al contrario delle butch, le lesbiche femme hanno un’espressione di genere tipicamente femminile, in modo il più possibile naturale

Questo termine, insieme a butch, si è diffuso nelle comunità lesbiche americane già a partire dagli anni ‘40 e ‘50, quando le donne si unirono alla forza-lavoro: una dicotomia butch-femme che ha reso le lesbiche visibili per la prima volta

La concezione queer postmoderna di femme è quella di una persona che si identifica come lesbica o bisessuale e che non sempre si veste o si comporta in modo “tradizionalmente femminile” (che significa un’estetica femminile, come truccarsi, tacchi e numerosi accessori), ma che esprime l’identità femme attraverso comportamenti, interazioni e opinioni politiche associati al genere femminile.

Tomboy

Le lesbiche tomboy sono le ragazze, di giovane età, che, in italiano, potremmo definire “maschiaccio”, ma meno rispetto alle butch: le tomboy continuano, infatti, a mantenere alcune caratteristiche tipicamente femminili come il make up (diverse tomboy utilizzano il rossetto e la matita sotto gli occhi). L’abbigliamento è caratterizzato da abiti casual tipicamente maschili, oltre generalmente a piercing e tatuaggi sul corpo. I capelli vengono portati sia lunghi che corti. Il fisico, a differenza delle lesbiche butch, può essere snello e androgino.

Il termine “tomboy” si usava già negli anni Novanta, ma ha avuto il suo exploit dopo la pubblicazione del film francese omonimo, un film LGBTQIA+ del 2011 di Céline Sciamma che segue le vicende di Laure, giovane gender non conforming che sperimenta l’espressione di genere maschile in società, adottando, oltre che lo stile, anche il nome maschile Michael. 

Giornata della visibilità lesbica: perché è ancora così importante celebrarla

Il lesbismo, rispetto all’omosessualità maschile, ha subito nei secoli una maggiore invisibilizzazione, marginalizzazione. Se, ad esempio, da un punto di vista storico, nell’Antica Grecia l’omosessualità maschile aveva un suo ruolo ed un valore educativo/simbolico nella società, sono scarse le fonti che rimandano all’amore tra donne. Nell’antica civiltà ellenica il lesbismo non aveva una sua funzione sociale specifica e tutto ciò che conosciamo sull’amore tra donne lo si deve quasi esclusivamente ai componimenti della poetessa Saffo e alla sua opera nei “θίασοι” (thìasoi). 

Durante il regime nazista le donne lesbiche non venivano proprio riconosciute come tali: questo di certo non vuol dire che godettero di una migliore condizione. Furono comunque internate nei campi di concentramento, classificate come “asociali” e dirette verso il medesimo destino. Su di loro gravava un doppio stigma, ovvero l’appartenenza a due minoranze, in primis quello di essere donna e poi quello di lesbica e, quindi, destinate alla subordinazione, all’invisibilità.

Proprio per la repressione subita in quanto prima di tutto appartenenti al genere femminile, che soltanto di recente, a partire dagli anni Sessanta/Settanta, sono nate le prime rivendicazioni del movimento lesbico, che culminano nella nascita della giornata dedicata alla Visibilità Lesbica, istituita nel 2008 proprio con l’obiettivo di dare maggiore rappresentazione, rivendicazione alla propria soggettività. Le donne lesbiche, infatti, hanno dovuto lottare con uno sforzo maggiore: oltre a quello di interfacciarsi con una società eteronormata e omofoba, anche quello di dover fare i conti con una società fallocentrica e patriarcale, che le ha volute sempre subordinate in quanto donne. 

Il 26 Aprile di ogni anno si celebra la Giornata della Visibilità Lesbica ed è così importante per tuttə onorarla perché, come scrive il nostro redattore Riccardo Conte nell’articolo dedicato a questa giornata, vuol dire “ribellarsi e sovvertire un sistema che vuole le donne relegate a ruoli precostituiti, esclusivamente eterosessuali, e in funzione del piacere maschile”. 

Approfondisci