L’amore si nutre di bellezza: ecco il folgorante “La vita di Adele”

Esce oggi in Italia il capolavoro di Kechiche, tripla Palma d'Oro. Una semplice storia d'amore tra due donne, di incandescente passionalità, con le splendide Adèle Exarchopoulos e Léa Seydoux.

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«Non voglio i vostri corpi ma la vostra bellezza!». Questa è la frase chiave che continuava a gridare sul difficile set del bellissimo La vita di Adele il regista tunisino naturalizzato nizzardo Abdellatif Kechiche, in uscita oggi nelle sale in 150 copie grazie a Lucky Red Distribuzione. Vincitore di un’eccezionale tripla Palma d’Oro a Cannes destinata al regista e alle interpreti nonché del trofeo della critica internazionale, il premio Fipresci, conferma la sua forza anche dopo una seconda visione (in lingua originale): commuove, affascina, sorprende.

La storia è semplice. Adèle è una giovane studentessa di letteratura (la rivelazione Adèle Exarchopoulos, indimenticabile), un po’ naif e istintiva, e col nuovo ragazzo Thomas (Jérémie Laheurte, nella vita suo vero boyfriend) le cose non funzionano. Adèle è ossessionata da una ragazza coi capelli blu che ha incrociato per strada abbracciata a una donna. Conoscerà la fata butch Emma (Léa Seydoux, sublime), allieva di belle arti, in un pub lesbico. Se ne innamorerà perdutamente: una passione incandescente e ricambiata, al punto che le due ragazze progetteranno un futuro in comune, andranno a vivere insieme, condivideranno amici ed esperienze, una volta diventate rispettivamente maestra e pittrice. Ma un tradimento fatale e la differenza di classe – Adele si sente a disagio con gli amici colti di Emma – porranno fine all’amore.

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Non lasciatevi spaventare dalla durata di tre ore, il folgorante La vita di Adele vi conquisterà subito, stregandovi. E se penserete di voler vedere finire quanto prima il film, è solo perché vi farà pena il destino di sofferenza e solitudine della povera Adele negli ultimi tre quarti d’ora, assolutamente necessari. Ovviamente è un’opera d’autore, impegnativa, da vedere solo se riposati ma non cadete nell’errore di pensare che sia lento: è molto denso, dinamico, in alcuni momenti addirittura adrenalinico, ma le singole scene sono spesso decisamente lunghe per ricreare un naturalismo il più possibile realista, al fine di dare proprio l’impressione della vita che scorre, senza tagli o manipolazioni. Dobbiamo ancora parlare delle scene di sesso, complessivamente una dozzina di minuti che nell’economia del film non sono certo predominanti? Ok, per le feticiste: ardori carnali, capezzoli turgidi, bocche in fiamme, occhi persi, pelle che suda e arrossisce, gemiti estatici, cunnilingus, tribadismo, soft spanking (ovvero leccate intime, sforbiciate, sculacciatelle), i corpi che giacciono esausti, godimenti assoluti, desideri erotici realizzati. Il fuoco dell’amore. La felicità. Splendide. È curioso che tra le poche critiche negative al film, la maggior parte provengano da blog lesbici che non hanno apprezzato il voyeurismo insistito del regista (curiosità: le attrici hanno recitato con apposite guaine genitali trasparenti). Certo, lo sguardo di Kechiche è vorace, predatore, ossessivo nella ricerca di una bellezza a volte persino plastica come le statue del museo che le ragazze visitano prima di fare l’amore con trasporto selvaggio. Ed è un modo per esaltarne la spontanea magnificenza con elaborati primi e primissimi piani senza frenare la propria libertà artistica, tenendo anche conto che l’esperienza di spettatore è di per sé intrinsecamente voyeurista.

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Il concetto di libertà echeggia in tutto il film, dall’evocazione di Sartre a quel filo rosso cromatico, anzi blu, che ritorna periodicamente, dagli orecchini blu della prima amante di Adele alla straziante scena madre al bar in cui le protagoniste sono vestite di blu quando si ritrovano (non è proprio questa la più “pornografica” emotivamente?). Il blu è un colore caldo è la graphic novel di Julie Maroh, molto più cupa di La vita di Adele da cui è liberamente tratto il film, edita in Italia da Rizzoli. Anche la disegnatrice francese che sarà presente al festival bolognese Gender Bender ha contestato proprio le scene di sesso definendole «una vetrina brutale e chirurgica, dimostrativa e fredda, del sesso lesbico che vira in porno e mi ha messo molto a disagio».

Ma tutta l’opera di Kechiche è incentrata sull’analisi e l’esibizione del corpo femminile inserito in quello sociale, a partire dal sottovalutato Venere nera all’intenso Cous cous, ma con un forte rispetto per la dignità della donna. Kechiche esige moltissimo dai suoi attori: pensate che la scena del primo incontro fra Emma e Adele è stata girata cento volte e dura solo una ventina di secondi. Infatti le polemiche sorte dopo Cannes erano dovute proprio a condizioni lavorative difficoltose e orari impossibili.
C’è un nume tutelare, a vegliare sul destino di Adele: è lo scrittore tardo seicentesco Pierre de Marivaux, autore di La vita di Marianne in cui un’orfana “al cui cuore manca qualcosa” viene adottata da una ricca signora e s’innamora tragicamente di suo figlio, libro citato durante una lezione nel film. Caso e destino s’intrecciano nelle vicende sentimentali dalla triste fine proprio come in quelle di Adèle. E proprio Marivaux in ‘La fausse suivante’ diceva: “Di sessi ne conosco soltanto due: uno che si dice ragionevole, l’altro che ci dimostra che questo non è vero”.

Ma La vita di Adele è un film da apprezzare soprattutto “di pancia e di cuore”: non a caso si mangia in continuazione, ci si bacia sempre (nel pub gay, in quello lesbico, al Pride), ci si abbraccia in ogni momento. È la vita, quella bella. Capolavoro.

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