Chi ha paura delle differenze? E chi vuole una scuola omofoba?

Scrittrice, Michela Murgia risponde a chi dice no all'educazione alle differenze. Leggete.

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Michela Murgia

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Da giorni io e Loredana Lipperini riceviamo segnalazioni e storie, purtroppo anche dalla Sardegna, in merito ai tentativi di bloccare progetti di lettura, di teatro o di riflessione sui temi della lotta alla discriminazione di genere e orientamento sessuale, sia a scuola che nelle istituzioni bibliotecarie. I gruppi che cercano di agire contro i programmi per il rispetto della diversità di tutti sono prevalentemente – e Dio sa se mi dispiace dirlo! – di appartenenza cattolica, spesso riconducibili ad associazioni e movimenti laicali di ala conservatrice. Cosa spinga queste persone a ritenere che il rispetto della persona umana in tutte le sue manifestazioni sia anti-evangelico è spiegabile solo con l’ignoranza e il fanatismo, ma nel frattempo c’è il rischio che qualche assessore o dirigente, lasciato solo dai genitori di altro avviso che dovrebbero invece difendere le sue scelte, possa decidere di non portare avanti i progetti contestati, privando i bambini dell’opportunità di crescere con una visione plurale del concetto di famiglia e di amore. Mi permetto una rapida disamina delle più frequenti parole d’ordine che ritornano con costanza nei commenti di queste persone a proposito di questi tristi tentativi di censura.

I genitori hanno il diritto di essere informati sull’educazione dei propri figli.

Avere il diritto di essere informati non significa poter mettere in discussione la progettazione scolastica. La programmazione di una scuola non si fa in base alle convinzioni personali dei genitori dei bambini che la frequentano, ma attraverso le scelte prese dal collegio docenti e ratificate dal consiglio d’istituto, del quale fanno parte anche i rappresentanti dei genitori. Non è fattibile né legittimo che i progetti educativi vengano discussi dopo che il piano dell’offerta formativa di cui fanno parte è stato approvato in quelle sedi.

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Se la scuola insegna cose contrarie ai miei principi, ho il diritto di chiedere che i miei figli non assistano a quelle lezioni.

Non esiste un diritto simile nel nostro ordinamento giuridico: puoi escludere i tuoi figli solo dalle attività facoltative. Gli obiettivi culturali della scuola sono concertati nel collegio docenti all’inizio dell’anno e sono ispirati a principi educativi condivisi. Se un genitore ha idee razziste e desidera che suo figlio cresca con quelle, nessuna scuola gli riconoscerebbe la facoltà di tenerlo a casa ogni volta che in classe si fanno progetti sulla tolleranza e l’uguaglianza. Se non riconosciamo il diritto a educare figli razzisti, secondo quale principio dovremmo riconoscere il diritto a educarli omofobi o sessisti?

L’articolo 2 della Convenzione Europea sulla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo dice che “lo Stato, nell’ambito dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche”.

E’ vero solo fino a quando le convinzioni religiose e filosofiche dei genitori non contraddicono le leggi dello Stato stesso. Il fatto che l’Islam consenta la poligamia o che alcune famiglie di cultura tribale considerino normale l’infibulazione non significa che nella scuola italiana queste pratiche vadano legittimate nell’insegnamento. Il fatto che la morale cattolica ritenga che l’omosessualità sia un disordine oggettivo non significa che dobbiamo insegnarlo a scuola. A scuola va insegnato proprio il contrario, perché a stabilirlo è l’art.3 della Costituzione, che vieta ogni discriminazione.

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Insegnare queste cose non serve ai bambini, ma a interessi ideologici.

Tutti gli interessi educativi sono ideologici, sia quelli di chi pensa che le famiglie siano tutte uguali nell’amore, sia quelli di chi pensa che l’unica istituzione che può essere chiamata famiglia sia quella composta da un uomo e una donna; è ideologia sia quella di chi pensa che la distinzione di genere non dovrebbe condurre a nessuna differenza sociale, sia quella di chi pensa che in forza delle differenze di natura le donne e gli uomini debbano avere ruoli sociali diversi. Entrambe le posizioni tendono a una precisa idea di mondo e cercano di fornire ai bambini gli strumenti per realizzarlo. Governare ed educare significa decidere in quale dei due mondi vogliamo vivere, tenendo conto però che in uno dei due ci stiamo già vivendo: nel nostro paese le persone sono discriminate per l’orientamento sessuale e il genere, più di cento donne muoiono ogni anno per mano degli uomini, la parola “omosessuale” è un insulto e molti sono convinti che negare i diritti alle famiglie degli altri sia il modo migliore per tutelare la propria. Il ministero della pubblica istruzione ha finalmente riconosciuto che esiste un solo modo per affrontare queste discriminazioni e queste violenze: combattere gli stereotipi culturali da cui si originano, insegnando che la differenza è un valore e che non esistono modelli “superiori” di famiglia o di persona. Questa educazione, a prescindere da quello che fanno le famiglie, la deve dare la scuola, esattamente come avviene per tutti i comportamenti civici che riteniamo necessari alla qualità del nostro stare insieme come comunità. La battaglia si potrà considerare vinta solo quando ad essere considerata un insulto sarà la parola “omofobo”, non la parola “omosessuale”. Se tu vuoi continuare a usare la parola “pervertito” o “ricchione” per squalificare un’altra persona, non puoi pretendere che la scuola ti sostenga.

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In quanto genitori abbiamo il diritto di essere coinvolti sui temi d’insegnamento dei nostri figli.

Per questo esistono i consigli di istituto. Esercitare altre forme di pressione sociale fuori dagli spazi in cui i programmi vanno effettivamente discussi, organizzare petizioni per far sentire il fiato sul collo delle maestre e dei maestri mettendo in discussione la libertà di insegnamento, aumentare il grado di burocratizzazione per scoraggiarne l’attuazione o addirittura pretendere di vagliare la posizione ideologica degli esperti a supporto (a che altro scopo serve sapere le generalità di chi viene a fare determinate lezioni?) non solo non configura alcuna legittima richiesta di coinvolgimento, ma è anzi un vero e proprio atto di intimidazione.

Non chiedo di conoscere i programmi nel dettaglio per impedirli, ma per decidere se voglio che i miei figli li frequentino.

Le petizioni con cui si vuole impedire ogni tipo di insegnamento contro le discriminazioni dimostrano purtroppo che le vostre intenzioni sono quelle di impedire a tutti l’accesso a questo bagaglio di rispetto. Tuttavia è vero che se si tratta di programmi facoltativi, certamente tuo figlio puoi non mandarcelo. La scuola però non è fatta solo di quello che ci si insegna: conta moltissimo anche quello che NON ci si insegna. Se tu decidi che NON bisogna insegnare a tuo figlio che TUTTE le famiglie vanno rispettate, compresa la sua, stai dicendogli implicitamente che ti sta bene che impari che NESSUNA merita rispetto, a parte la sua. Se decidi che NON gli si deve insegnare che l’omosessualità e l’eterosessualità sono espressioni affettive di pari dignità, stai dicendo che ti va benissimo che cresca pensando che gli omosessuali siano malati, deviati, viziosi e/o oggettivamente dis-ordinati rispetto all’ordine naturale. Non sarà che quello che davvero ti spaventa è che tuo figlio possa crescere con idee diverse dalle tue?

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Il razzismo è un reato, ma l’omofobia e il sessismo sono opinioni e come tali discutibili.

L’omofobia e il sessismo in Italia sono già reato in base all’articolo 3 della Costituzione che vieta ogni discriminazione, ma per il momento l’assenza di leggi specifiche in merito fa sì che a molti queste non sembrino ancora posizioni culturali così gravi da necessitare un intervento educativo specifico. Settant’anni fa questo era vero anche per le convinzioni razziste. Tuttavia, mentre attendiamo l’approvazione di leggi specifiche come il ddl Scalfarotto, sta crescendo molto la sensibilità sociale intorno a questi temi e le conseguenze delle discriminazioni stanno spingendo molte istituzioni e agenzie educative (scuole, biblioteche, associazioni e amministrazioni locali) a mettere a punto progetti che affrontino già ora le cause dell’emarginazione e dell’esclusione sociale. Le idee si cambiano insegnando altre idee e anche per questo serve una scuola dove si insegnino principi che vadano al di là del concetto di reato e anche delle convinzioni etiche, religiose o politiche di ogni singolo genitore. È grazie a questi progetti se, quando l’omofobia e il sessismo nel codice penale italiano saranno esplicitati come reati contro la persona umana proprio come il razzismo, ci saranno molte più persone che lo troveranno già ovvio.

Non voglio che i miei bambini imparino cose contro natura.

Il rispetto non è contro natura. Nei progetti educativi contro l’omofobia e il sessismo i bambini imparano che nessuno di loro sarà considerato anormale o inferiore per il suo genere o per i suoi orientamenti sessuali e che quello che chiamiamo famiglia è un sodalizio costruito sull’amore, non sulla genitalità. Questo non farà dei tuoi figli degli omosessuali, ma forse li renderà più rispettosi di tutte le diversità e più forti nel pretendere il rispetto della propria.

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Quindi la scuola può insegnare ai miei figli cose che io non condivido anche contro il mio parere?

Certo che sì: succede tutti i giorni. Tuo figlio e tua figlia impareranno che è esistito lo sterminio ebraico anche se tu pensi che sia tutta un’invenzione. Qualcuno insegnerà loro le teorie di Darwin anche se tu credi che il mondo sia nato veramente in sette giorni. Impareranno l’inglese anche se tu non ne spiccichi una parola, leggeranno Ariosto e Omero anche se tu sei leggi solo la Gazzetta dello Sport o le riviste dal parrucchiere, incontreranno insegnanti di sinistra che parleranno loro delle fosse ardeatine e insegnanti di destra che parleranno loro delle foibe, avranno compagni benestanti e che hanno meno di loro, amici e amiche tatuati, con i jeans strappati, con la riga ordinatamente di lato, la cresta o il cravattino, credenti e non credenti, grassi e ossute, simpatiche e antipatici, fumatori o salutiste, figli di emigrati o autoctone da sette generazioni. Occuperanno la scuola per protestare contro i tagli oppure faranno vela e andranno ai giardini pubblici. Si candideranno rappresentanti di istituto per farsi portavoce dei loro compagni o nemmeno andranno a votare alle elezioni degli organi scolastici. Sorrideranno con incanto alla biondina del terzo banco o sentiranno battere il cuore davanti al bicipite del capitano della squadra di pallacanestro della scuola e non ti diranno mai a chi dei due è successo. Incontreranno il mondo in tutta la sua diversità e impareranno a rispettarla da pari, senza sentirsi migliori o peggiori di nessuno. È a questo che serve la scuola ed è per questo che è educativa. Se hai della scuola un’idea diversa è un problema tuo: il compito della comunità civile è far sì che il tuo problema non diventi anche un problema di tuo figlio e di tua figlia.

Michela Murgia è una scrittrice sarda. È stata candidata alle primarie del centrosinistra per scegliere il candidato presidente alle ultime regionali in Sardegna.

(Testo tratto dal sito di Michela Murgia )

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