Gasparri e la guerra preventiva al nuovo corso friendly di Barilla

Ricordate il caso Barilla? Le cose sembrano cambiare, ma in Italia è già partita la guerra

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Se diciamo “Guido Barilla”, cosa vi viene in mente? Siamo sicuri che la maggior parte di voi ricorderanno le dichiarazioni che il CEO dell’omonimo marchio di alimenti fece un anno fa: “Non metterei mai in una nostra pubblicità una famiglia gay, perché noi siamo per la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca”. Era settembre 2013. Il putiferio che scatenarono quelle dichiarazioni assunse proporzioni che mai Barilla si sarebbe aspettato. Non solo le associazioni e la comunità lgbt italiane attaccarono duramente il CEO, ma il boicottaggio arrivò oltreoceano, come la sua pasta, del resto, che detiene il 30% del mercato in Usa. Seguirono comunicato e video di scuse, incontro con le associazioni italiane e l’assunzione, infine, di un esperto in “inclusione e diversità”.

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Il cambio di rotta

Il sollevamento popolare internazionale ha avuto i suoi frutti. Perché negli States, un’azienda etichettata come omofoba corre un rischio d’immagine che nessun imprenditore sano di mente affronterebbe a cuor leggero. Qualche giorno fa, il Washington Post ha pubblicato un articolo in cui riporta il giudizio positivo espresso dalla statunitense Human Rights Campaign, una delle più importanti associazioni statunitensi che si occupa di diritti delle persone Lgbt.
Secondo il quotidiano, Barilla ora è degna di un punteggio di approvazione pieno: ha esteso le tutele sanitarie previste per i dipendenti alle famiglie composte da coppie gay e trans, ha finanziato associazioni che si battono per i diritti delle persone Lgbt, ha aderito all’associazione Parks ed ha mostrato sul sito BarillaFactory (tra gli altri) uno spot con una coppia lesbica e una gay , presentato da un filmaker che ha partecipato ad un concorso indetto dall’azienda per video che rappresentassero valori come la diversità. Il concorso è concluso, vedremo cosa manderanno in TV. Insomma, pare che le cose siano cambiate, in un anno. Abbiamo contattato Barilla per avere qualche dettaglio in più su come intende muoversi in Italia, dopo avere conquistato gay e lesbiche statunitensi, quindi su questo vi aggiorneremo quando avremo una risposta.

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La polemica preventiva made in Italy

Intanto però, è già partita la polemica preventiva, a casa nostra. Prima ancora che il gruppo di Parma possa uscire pubblicamente nel suo Paese con qualcosa che renda evidente a tutti il cambio di rotta (come evidenti furono le tristemente note dichiarazioni di Guido), l’azienda è già stata ufficialmente avvisata. A farlo, con un tweet, è stato Maurizio Gasparri che ha già paventato il boicottaggio: “Patetico epilogo per Guido Barilla passato dalla difesa della famiglia alla subalternità a lobby gay. Non compriamo più Barilla” ha scritto il senatore di Forza Italia che poco dopo ha aggiunto: “Non comprate prodotti Barilla, Guido Barilla merita boicottaggio per resa su famiglia naturale”.
Gasparri non è stato l’unico, Dalle pagine del solito Libero, ha tuonato anche Mario Giordano, direttore del TG4 e neoacquisto del fronte dei detrattori dei diritti civili. Secondo Giordano, Barilla ha ceduto all’ “omo-catechismo”, alla “Santa Trans-Inquisizione” e via discorrendo, con una chiosa che merita (si fa per dire) la citazione. “La buona pasta non è un lusso – scrive Giordano -. È di più: una Luxuria”.

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Dove le azienda fanno gara per chi è più friendly

Dati i buoni segnali giunti dagli States, i video pubblicati sul sito, l’adesione a Parks e tutto il resto, ci aspettiamo che a Parma non si lascino intimorire dalla solita alzata di scudi da medio evo dei diritti. Nell’attesa, ricordiamo a Gasparri, Giordano e a tutti gli altri, che negli altri paesi le aziende più popolari fanno vanto delle loro politiche friendly, dei finanziamenti alle associazioni e alle campagne pro matrimonio egualitario o contro l’omofobia. Un esempio per tutti? Apple, che anche quest’anno entra a pieno punteggio nel “Corporate Equality Index” di HRC, ovvero nell’elenco in cui, con il massimo dei punti, si indicano le aziende in cui gay, lesbiche e trans vengono trattati esattamente allo stesso modo degli etero, in qualsiasi ambito e sotto qualsiasi aspetto e le imprese che si impegnano nella lotta alle discriminazioni. Insieme ad Apple ci sono anche: Chevron, General Motors, General Electric, Ford, AT&T, HP, JPMorgan e IBM, solo per citare alcune tra le più famose, per un totale di 366 aziende promosse a pieni voti. Insomma, le aziende che guardano al futuro fanno dell’inclusione la loro cifra. Bisognerà che anche i Gasparri e i Giordano se ne facciano una ragione.

di Caterina Coppola

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