Unioni Civili: ecco come superare l’ostruzionismo in commissione

Tutti gli strumenti a disposizione della commissione Giustizia per accelerare i tempi.

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La domanda che in molti mi rivolgono in questi giorni è come sia possibile superare l’ostruzionismo al disegno di legge sulle unioni civili in Commissione giustizia al Senato dove per bloccare l’iter legislativo sono stati presentati circa 4320 emendamenti, i quali dopo la valutazione di ammissibilità sono stati ridotti a 2000 secondo la relatrice, a 1500 secondo altri. Rimane comunque un numero alto che fa gongolare chi porta avanti l’ostruzionismo, uno dei quali ha dichiarato: «10 minuti per ogni emendamento, 1500 emendamenti, ne abbiamo minimo per 15000 minuti che in ore fa circa 2500 , cioè 100 giorni e rotti facendo solo quello» (in realtà fanno 250 ore, che sono comunque troppe). Il Presidente della Commissione , da parte sua, rilascia interviste nelle quali dichiara che dovranno essere illustrati e votati tutti.
Come stanno le cose e come se ne può venire fuori? L’esame dei disegni di legge da parte di una Commissione costituisce una fase obbligatoria del procedimento legislativo prima del passaggio in Aula per l’approvazione. Tuttavia, l’articolo 72 della Costituzione non fissa elementi tassativi dell’istruttoria in Commissione, prescrivendo invece che l’Aula approvi i disegni di legge “articolo per articolo” – regola spesso violata – e rimettendo il resto della disciplina ai Regolamenti parlamentari.

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Al Senato l’esame dei provvedimenti in Commissione è regolato da due fonti principali: Circolare del presidente del Senato del 10 gennaio 1997 . Quest’ultima evidenzia che l’esame in Commissione (in sede referente) ha la finalità di acquisire: «degli elementi utili alla decisione e alla conseguente elaborazione del testo per consentire la deliberazione dell’Assemblea. In vista dell’adempimento di tale compito, l’esame in sede referente è caratterizzato dalla flessibilità e dalla informalità della procedura, in contrapposizione con la rigidità propria delle fasi deliberanti». Le procedure deliberanti, infatti, sono quelle dirette alla definitiva approvazione del testo legislativo da parte della Commissione, mentre l’esame in sede referente – come nel caso del disegno di legge sulle unioni civili – è diretta a permettere «una consapevole decisione da parte dell’Assemblea».
La «flessibilità e l’informalità della procedura» in Commissione è ben espressa dall’articolo 43 del Regolamento, che si limita a stabilire che dopo la eventuale illustrazione preliminare del provvedimento si svolga una discussione generale di carattere sommario (comma 1) e che «alla discussione dei singoli articoli si procede quando siano stati presentati emendamenti» (comma 2). Al termine della discussione la Commissione nomina un relatore incaricato di riferire all’Assemblea (comma 4), così come chi è contrario al disegno di legge può presentare una relazione di minoranza (comma 6). È da notare che il comma 2 non entra nel merito e non stabilisce modalità di esame degli emendamenti.

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Quando la Commissione esamina un disegno di legge in sede deliberante o in sede redigente, la disciplina «rigida» – riferita dalla Circolare del presidente del Senato – è dettata dagli articoli 41 e 42 del Regolamento, che stabiliscono invece puntuali indicazioni sulle modalità di presentazione e di esame degli emendamenti.
A questo punto, la prima risposta parziale al quesito che mi è stato posto dovrebbe essere che gli emendamenti al disegno di legge in materia di unioni civili non devono essere obbligatoriamente illustrati e votati tutti, anche se “per prassi” al Senato accade il contrario.
Infatti, nel diritto parlamentare le regole non scritte frutto di prassi e precedenti, spesso non omogenei, rappresentano una fonte che quasi sovrasta il Regolamento e la Costituzione e sovente li viola. Ad esse sovrintende la Giunta per il Regolamento .
Purtroppo non esiste una raccolta delle fonti non scritte, rendendo vana ogni ricerca e la possibilità di controllo preventivo dell’azione dell’organo legislativo (Bergonzini, 2008, La piramide rovesciata: la gerarchia tra le fonti del diritto parlamentare), stabilendo così la tirannia del «precedente segreto». La ricerca nei resoconti telematici a partire dal 1996 (XIII legislatura) non restituisce alcun parere in materia di esame degli emendamenti in Commissione in sede referente. Per le legislature precedenti non è possibile sapere.

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Però l’interprete non può fermarsi dinanzi a un precedente – segreto o meno – la cui legalità e legittimità deve fare i conti con il rispetto del Regolamento e della Costituzione, come pacificamente afferma la dottrina. Nel diritto parlamentare esiste anche una regola, detta del nemine contradicente, che consente la disapplicazione di una norma del Regolamento se tutti sono d’accordo. Ma se non tutti sono d’accordo la prassi o il precedente vanno disapplicati; così pure la prassi ricavabile dal Regolamento per via d’interpretazione può essere modificata – anzi deve esserlo – quando attraverso essa si impedisce lo svolgimento di un iter legislativo e il buon andamento dei lavori dell’Assemblea.
Per verificare, quindi, la correttezza della mia prima risposta occorre approfondire quanto ho già sommariamente illustrato.
L’articolo 72 della Costituzione pone l’obbligatorietà dell’esame in Commissione referente senza indicare quale sia la fase minima cui deve pervenire l’esame prima del passaggio in Aula. Si ritiene però che il limite costituzionalmente imposto – che al Senato è stato violato più volte, ad esempio in occasione della legge Gasparri e della Riforma del titolo V della Costituzione – possa coincidere con la conclusione della fase di discussione generale di Commissione, caratterizzata da elementi istruttori irripetibili o che non potrebbero trovare spazio in Aula, quali audizioni, acquisizioni di pareri obbligatori e di soggetti ed organi diversi da quelli parlamentari . Non vi rientrano gli emendamenti, la cui presentazione, illustrazione e votazione sono previsti anche in Aula.

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Oltre a questo limite indefettibile, la Costituzione demanda ai Regolamenti – con una riserva rinforzata – la compenetrazione tra le esigenze di istruttoria e dibattito e quelle di programmazione e buon andamento dei lavori dell’Assemblea.
Infatti, al Senato l’articolo 43 del Regolamento si limita a stabilire: «alla discussione dei singoli articoli si procede quando siano stati presentati emendamenti», che in ossequio al principio di «flessibilità e informalità della procedura» ricordato dalla Circolare del presidente del Senato del 10 gennaio 1997, non postula l’illustrazione e la votazione (di tutte) le proposte emendative tra gli elementi e i profili che caratterizzano la completezza e l’esaustività della istruttoria in Commissione. Non a caso, sugli emendamenti la richiamata circolare fornisce importanti indicazioni circa la proponibilità, ma tace sulla loro trattazione.
L’illustrazione e la votazione di tutti gli emendamenti in Commissione non rientrano, quindi, nel limite costituzionalmente imposto e neppure in quello derivante dai regolamenti. Nonostante ciò, al Senato in Commissione sopravvive una sorta di “diritto” del parlamentare a veder posto in votazione ogni emendamento, anche quando gli intenti sono chiaramente ostruzionistici e ciò determina frequentemente l’impossibilità per la Commissione di concludere formalmente l’esame del disegno di legge.
Come se ne potrebbe venire fuori? Proverò a svolgere alcune riflessioni, che chiamano in causa il presidente della Commissione, ma anche il Partito Democratico che sostiene l’approvazione del testo sulle unioni civili:

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1) nei casi di ostruzionismo con la presentazione di centinaia o migliaia di emendamenti, la prassi di far illustrare e votare tutti gli emendamenti in Commissione non è imposta dalla Costituzione o dal Regolamento e viola il buon andamento dell’organo legislativo non consentendo mai la conclusione formale dell’esame in Commissione. La conseguenza è che il disegno di legge va in Aula nel testo originario del progetto e senza il mandato al relatore, con la relazione affidata al presidente della Commissione (art. 44, comma 3 del Regolamento) e la perdita del lavoro istruttorio compiuto che, però, può essere recuperato mediante emendamenti presentati e votati in Assemblea.
Questa situazione accade molto di frequente, nonostante al presidente della Commissione non sia precluso utilizzare strumenti di economia procedurale che possano consentire di rispettare i tempi dell’istruttoria e concludere l’esame.
Il primo strumento, l’unico che viene effettivamente applicato, è quello relativo all’ammissibilità, imposto espressamente dal Regolamento. Nel caso dell’esame delle unioni civili gli emendamenti sono stati ridotti in misura ponderosa, ma la valutazione di ammissibilità non ha rispettato i severi criteri indicati nella Circolare del presidente del Senato del 10 gennaio 1997. Dalla lettura degli emendamenti residui emerge che molti altri dovevano essere dichiarati inammissibili, dimostrando che il presidente della commissione ha usato un criterio di ammissibilità a maglie larghe, ovvero un modo indiretto da parte sua di sostenere l’ostruzionismo. Purtroppo sul piano del Regolamento la decisione del presidente della commissione non è appellabile, ma le forze di maggioranza che sostengono il disegno di legge avrebbero potuto sollevare la questione sul piano politico, anche rivolgendosi al Presidente del Senato, pur se con esiti incerti.

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Un secondo strumento che il presidente della commissione potrebbe utilizzare è quello noto nel gergo giornalistico come tecnica del canguro, ovvero una tecnica che consente di reagire alle degenerazioni ostruzionistiche costituite dalla presentazione di un elevato numero di emendamenti estremamente simili tra loro “differenti esclusivamente per variazione a scalare di cifre o dati o espressioni altrimenti graduate” (art. 85, c. 8 del Regolamento della Camera e parere della Giunta per il regolamento del Senato del 17 luglio 1996). Si tenga conto che, anche se i regolamenti sono diversi, alla Camera questa regola si applica in Commissione e un richiamo all’altro ramo del Parlamento per analogia non è fuori luogo.
Visto il probabile orientamento contrario del presidente della commissione, la maggioranza dovrebbe chiedergli formalmente di ricorrere a questo strumento, sollecitandolo eventualmente a rimettere la questione alla Giunta per il regolamento.
Sarebbe forse possibile utilizzare anche ulteriori strumenti o tecniche di riduzione degli emendamenti nell’ottica di concludere l’esame in Commissione del disegno di legge in materia di unioni civili. Quello che occorre tenere da conto è che la Commissione realmente e efficacemente ha svolto tutti i controlli e le verifiche stabiliti dal Regolamento e dalla Circolare presidenziale e ha anche approvato un testo base. Dallo sfoltimento degli emendamenti, non ci sarebbero ricadute negative neppure su un piano più generale, quello dei rapporti tra maggioranza e opposizione all’interno del Parlamento, dal momento che il testo è sostenuto da uno schieramento bipartisan e la divisione è semmai tra pro e contro;

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2) un altro modo per velocizzare l’esame degli emendamenti in Commissione consiste nella convocazione della seduta ad oltranza fino alla conclusione dell’esame e non solo limitandosi ad intensificare il numero delle sedute. Questo è uno strumento “facile” nella disponibilità della maggioranza che può ottenerlo ponendo la questione nell’ufficio di presidenza. La seduta ad oltranza costringerebbe i componenti a restare giorno e notte in Commissione e inevitabilmente i presentatori degli emendamenti ostruzionistici rinuncerebbero ad illustrare parte o tutti gli emendamenti e altri decadrebbero per assenza dei presentatori. Se anche non si raggiungesse questo obiettivo, comunque la convocazione ad oltranza è l’unico strumento, al di fuori di quelli di cui al punto 1), che potrebbe rendere possibile la conclusione dell’esame da parte della Commissione. Altrimenti o si va in Aula senza relatore – e quindi ci si potrebbe andare anche subito – o non vi si arriva prima del prossimo anno, come sanno e hanno annunciato i sostenitori dell’ostruzionismo;

3) l’inserimento del disegno di legge nei lavori dell’Aula con la dicitura «ove concluso l’esame in Commissione», è un modo da imbonitori da circo per dare a credere di aver impresso un cambio di rotta senza aver fatto nulla. Sapendo quanti sono gli emendamenti da illustrare e da votare, la volontà politica di portare in Aula l’esame del provvedimento, in potere della maggioranza, va espressa inserendo nel calendario dell’Aula la data di inizio della discussione senza quella dicitura. Si tratterebbe di una calendarizzazione forzata che il Regolamento consente trascorsi due mesi dall’assegnazione del provvedimento in Commissione – ma anche qui sono note prassi illegittime che l’hanno consentita anche prima dello scadere di tale termine-, mentre le unioni civili sono in Commissione da due anni, molto oltre qualsiasi periodo che si possa considerare minimo incomprimibile per l’istruttoria legislativa;

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4) l’andamento dei lavori in Commissione sembra non mostrare la volontà della maggioranza di giungere ad una rapida approvazione da parte del Senato, nonostante l’abnegazione di alcuni. Il testo base è stato presentato da oltre un anno e la votazione degli emendamenti è cominciata solo da pochi giorni. La lentezza e le incertezze, al di là dei proclami, sono addebitabili al Partito Democratico e forse anche alla gestione dei lavori in Commissione, con il presidente non a favore, poteva essere più accorta. Evidenzio due indizi di quanto affermo:

Il primo: sapendo in anticipo che ci sarebbe stato ostruzionismo con numerosi emendamenti, oltre a dover pretendere la fissazione di un tempo più breve per la loro presentazione, anziché un mese e mezzo, occorreva utilizzare tecniche emendative note per farne decadere molti. Occorreva tenere presente le centenarie “regole di Bentham” concernenti l’ordine di votazione degli emendamenti secondo razionali criteri di logica procedurale (a cominciare dal principio della lontananza dal testo da emendare quale elemento di priorità nella messa in votazione), cui si legano poi i tradizionali istituti decadenziali della preclusione e dell’assorbimento. Nel PD queste regole le conoscono bene. Basti ricordare la recente vicenda, border line, dell’approvazione della riforma elettorale da parte del Senato, che con l’emendamento premissivo c.d. Esposito, ha fatto decadere addirittura 48 mila emendamenti.

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Il secondo: si è atteso il parere della Commissione Bilancio e la Relazione tecnica della Ragioneria generale dello Stato, ma si poteva guadagnare tempo fissando più sedute e cominciando la votazione in mancanza del parere della Commissione bilancio, con l’intesa di acquisire quel parere, sia sul testo base che sugli emendamenti, prima di mettere in votazione il mandato al relatore e di recepire, in sede di coordinamento, se necessario, le eventuali modifiche conseguenti al parere, anche concernenti emendamenti già accolti. I precedenti sono tanti, anche molto recenti
.
Ritengo di aver ampiamente risposto alla domanda, mostrando che la materia è alquanto complessa. La conclusione non occuperà molto spazio: se il PD volesse potrebbe far votare il disegno di legge sulle unioni civili anche prima della pausa estiva. Nella situazione data, l’esame in Commissione non può formalmente concludersi se non il prossimo anno e in ogni caso il testo andrà in Aula senza mandato al relatore, tranne che non si attivino alcuni degli strumenti che ho illustrato.
La mia posizione personale è nota: sono contrario alle unioni civili che considero uno strumento segregazionista nei confronti delle persone omosessuali. Non farò quindi il tifo perché il PD si svegli dal suo letargo, che ancora continua, tranne che non riprenda in mano l’iter legislativo incardinato al Senato in materia di matrimonio egualitario. Sono convinto che l’impegno politico richiesto per approvarlo equivalga a quello fin qui investito sulle unioni civili e richieda la formazione di una maggioranza trasversale quale quella che – se dovesse accadere – approverà il disegno di legge Cirinnà. Ritengo però che tutti debbano avere a disposizione elementi di conoscenza per formarsi un’opinione consapevole e non disorientata da mere dichiarazioni giornalistiche ed è con questo spirito che mi sono impegnato a scrivere questa nota.

Avv. Antonio ROTELLI, socio di Avvocatura per i Diritti LGBTI – Rete Lenford

di Antonio Rotelli

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