Possibile caso di omofobia nelle Marche, dove una donna è stata licenziata due mesi dopo l’unione civile con la compagna.
Una quarantenne ha fatto ricorso per essere stata licenziata dalla pasticceria in cui ha lavorato negli ultimi sette anni. La donna si è rivolta al tribunale lamentando una discriminazione a seguito dell’unione civile con la compagna.
Nonostante sia stata formalmente licenziata per crisi aziendale, il giudice Tania De Antoniis ha riconosciuto la nullità dell’atto, poiché arrivato entro un anno dalla celebrazione dell’unione civile e ha disposto il reintegro della dipendente nel bar alla periferia di Senigallia.
Nella sentenza il magistrato ha ricordato che la legge, nello specifico il Codice delle Pari Opportunità tra Uomo e Donna, “Ritiene nulli i licenziamenti attuati per causa di matrimonio, presumendo che siano stati irrogati per tale causa quelli intimati entro l’anno dalla celebrazione delle nozze”.
Grazie alla legge Cirinnà l’unione civile in quest’ambito è equiparata al matrimonio: “Le disposizioni contenenti le parole ‘coniuge’, ‘coniugi’ o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche a ognuna delle parti dell’unione civile”.
Da par sua, il legale del datore di lavoro disconosce l’origine discriminatoria del licenziamento e precisa: “Abbiamo tempo fino all’8 aprile per presentare reclamo – ha precisato al Resto del Carlino l’avvocato Gianluca Saccomandi – il mio assistito non sapeva dell’unione civile, perché la dipendente non ne aveva parlato con nessuno e nella stessa data si era presentata regolarmente in pasticceria”.
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