È il 27 Novembre 1978 quando l’ormai ex consigliere Dan White si dirige in municipio e spara cinque colpi di pistola ad Harvey Milk, subito dopo aver ucciso allo stesso modo il sindaco di San Francisco George Moscone.
È la fine di Harvey Milk, nato a Woodmere, nello stato di New York, figlio di William Milk e Minerva Karns il 22 maggio del 1930 ed è la morte del primo americano apertamente gay eletto ad una carica pubblica.
Si candiderà tre volte prima di riuscire ad essere eletto nel 1977 e la sua elezione fu un traguardo importante o, come disse egli stesso, una “green light” per qualunque bambino gay d’America. Tuttavia la sua elezione non è sufficiente a dirne l’importanza, come non basta la sua morte violenta, sebbene sia parte della storia, perché la morte nulla aggiunge, semmai rischia di sottrarre qualcosa.
Qualcosa come la vita di Harvey Milk l’attivista, tenace e originale, che chiama i gay ad uscire allo scoperto e fatto per lui altrettanto importante, a rappresentarsi. Sulla scia di quanto avvenuto pochi anni prima nella sua città, a Stonewall, in un momento in cui l’ombra era ancora un rifugio e non solo una condanna.
Harvey Milk è l’attivista in grado di accompagnare l’intera San Francisco, sempre più consapevole della propria pluralità etnica e sessuale, nella trasformazione in una realtà cosmopolita. È Milk “Mayor of Castro”, il quartiere dove sul finire degli anni ’60 andrà concentrandosi la comunità gay e dove comincerà le proprie battaglie contro le discriminazioni a testa alta, senza cercare il pietismo negli americani o nelle istituzioni.
È il primo uomo politico che può lottare contro le iniziative omofobe dei suoi pari. Come per la “Proposition 6”, la proposta di legge che avrebbe reso obbligatorio nello stato della California licenziare gli insegnanti dichiaratamente omosessuali. Respinta, con uno scarto di un milione di voti, con l’intervento decisivo di Harvey Milk.
Grazie dunque Harvey, grazie per averci reclutato da allora.
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