Nell’ex colonia britannica essere gay è uno stigma sociale: si diffondo le terapie riparative a sfondo religioso dei gruppi cristiani.
Nonostante l’omosessualità sia stata decriminalizzata ormai trent’anni fa, a Hong Kong come nel resto della Cina essere gay è causa di censura sociale. La pressione famigliare in particolare spinge tutt’ora molti giovani LGBT cinesi a sperimentare le terapie riparative.
È il caso di Alvin Cheung, un trentenne della megalopoli cinese, che ha raccontato la propria esperienza con questo tipo di pratiche alla Thomson Reuters Foundation: “Volevo solo essere una persona normale, un figlio responsabile”.
Cheung ha iniziato a frequentare un gruppo di preghiera e di sostegno psicologico con la promessa che sarebbe potuto diventare eterosessuale: “Mi sentivo colpevole continuamente – ha aggiunto Cheung – Mi vergognavo e incolpavo me stesso per essere diverso dagli altri… volevo farla finita”.
Il proprio medico gli aveva diagnosticato una sindrome depressiva, dopo che aveva perso peso, faticava a dormire e a studiare per l’ultimo anno delle superiori. Durante la frequentazione del gruppo di preghiera, tra i consigli ricevuti c’erano comportarsi da “macho”, non stare da solo con altri ragazzi e smettere di guardare porno.
Nonostante siano state riconosciute dalla comunità scientifica come cialtronerie dannose per il benessere delle persone, sono pochi i paesi che hanno introdotto o stanno discutendo una legge che vieti questi pratiche.
Da parte loro i gruppi cristiani integralisti, sostenuti da alcuni terapeuti complici difendono le terapie di conversione: “Quando una persona ha attrazione verso lo stesso sesso non significa che debba avere comportamenti omosessuali o sviluppare relazioni gay – ha spiegato Hong Kwai-wah, fondatore dell’associazione New Creation – possono ancora scegliere se essere gay o etero”.
“Vietare alle persone omosessuali di cambiare orientamento in modo del tutto volontario – ha aggiunto Hong – è immorale e una chiara violazione dei diritti umani”.
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