Diario di un positivo: “Vi racconto com’è vivere con l’HIV”

Quella parola su un foglio, la vita che cambia e l'errore che vorresti non avere mai fatto

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Dopo avere visto su Gay.it il servizio delle Iene sull’HIV e il bug chasing , un lettore ci ha scritto raccontandoci la sua esperienza di sieropositivo, con l’auspicio che altri non commettano gli stessi errori e che la cultura del rispetto prevalga sul pregiudizio. Ecco la sua testimonianza.

Antefatto e perché

19 dicembre 2002, lo ricordo come se fosse oggi, stavo andando a ritirare l’esito degli esami del sangue ed ero single da otto mesi, dopo sei anni di relazione con un sieropositivo. Mi consegnarono il referto e una dottoressa mi disse venga con me. Entrai in un stanza e lessi la scritta “positivo”. La mia testa reagì in modo inaspettato.

Solitamente davanti ad un trauma, non mi rendo subito conto. Solo dopo qualche giorno realizzo il fatto. Quel giorno invece mi fu immediatamente chiaro, forse perché l’esperienza dei sei anni precedenti mi aveva trasmesso consapevolezza e chiarezza. Uscii dall’ambulatorio e mi diressi all’ospedale Niguarda e iniziai il mio percorso.

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Quello che vi racconterò nelle prossime pagine sono i mesi e gli anni che sono trascorsi sino ad oggi, le reazioni a chi ho comunicato il mio stato, le relazioni che ho portato avanti e come possibili amanti o fidanzati si sono comportati.

Spero che al termine della lettura ci sia maggiore rispetto sia per chi vive una condizione come la mia e sia per chi è sieronegativo

In mezzo agli altri

Quando sei seduto alla guida dell’auto e accanto hai tua madre, un amico o uno sconosciuto, ti senti responsabile in caso di incidente. Se sei sieropositivo, la responsabilità è doppia. Ti domandi: “e se a seguito dell’incidente si verifica il contagio?”. Lo stesso dubbio lo vivi quando sei seduto in metropolitana, quando sei sugli sci, o al mare sugli scogli e stai per tuffarti. Insomma ogni momento che ti trovi a vivere in mezzo agli altri. Se succede qualcosa e contagio qualcuno? E la domanda dopo arriva puntuale: quanto male gli farei? come lo spiegherei? Così inevitabilmente finisci per chiuderti in te stesso e per limitare i momenti in cui puoi socializzare. Altre volte invece decidi di lottare, perché sei vivo e non puoi permetterti di non sentirti “onorato” di stare su questa terra. Quindi ti armi di un sorriso da grande attore e vivi.

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Purtroppo, forte di questo sorriso ti spingi sino all’incoscienza di dire o fare passi falsi. Come fidarsi delle persone sbagliate o azzardare un rapporto sessuale non proprio sicuro.

Non c’è dubbio che dichiarare la propria condizione ad un amico è innegabilmente un atto di fiducia, ma può essere che non sempre l’amico si senta obbligato a condividere tale “fiducia” e, quindi, si allontani.

È curioso come la tua vita possa cambiare senza che te ne rendi conto: sei cresciuto con valori come la correttezza, la lealtà, la trasparenza e ti ritrovi a dover nascondere qualcosa di tuo. Ti ritrovi a non essere te stesso completamente perché non puoi cercare aiuto da nessuno, quando una sera non riesci a reggere il peso dell’HIV. Perché puoi scappare, viaggiare, cercare nuove amicizie, vivere nuove situazioni, ma lui è li. È presente ogni volta che fai la barba e ti preoccupi di non lasciare la tua lametta in giro, è li ogni volta che ti fai un taglio anche solo perché sei a pesca con un amico. È come la tua ombra, puoi spegnere la luce e decidere di vivere al buio, ma appena accendi la luce, lei è li.

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In nome dell’amore

Uno degli effetti della sieropositività, che comprendi solo dopo mesi, è la solitudine.

Non parlo di quella di amici o pseudo tali che ti hanno girato le spalle, o ti trattano con compassione o peggio con benevola tolleranza, ma che certamente non condividerebbero il medesimo bicchiere con te.

Mi riferisco a quella solitudine interiore che ti fa fermare in mezzo ad una stazione ferroviaria o ad una cena o ad un meeting lavorativo, e ti fa domandare: “sarò il solo ad essere sieropositivo? E se ora gridassi: sono sieropositivo perché come un coglione ho ricorso per tutta la vita un sogno “a due” e ho creduto che il sesso fosse una porta per tale sogno?“.

Poi mi fermo, respiro, penso che il sole continuerà a sorgere per me come per gli altri e non è necessario condividere la mia parte interiore. È necessario invece ascoltare me stesso, che per troppe volte ho tradito, ignorandolo. Sapevo che non potevo essere immune dal virus e ogni volta che rischiavo dicevo “speriamo in bene”.

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In questi dodici anni, ho capito che per le ragazze indossare il profilattico in caso di rapporti vuol dire solo evitare la gravidanza, mentre per i ragazzi è solo un problema di contagio da HIV. Peccato che esistono ben altre malattie come l’epatite C, la sifilide che hanno conseguenze altrettanto preoccupanti.

Sì anche queste le ho collezionate e di certo non ne vado fiero. Le ho collezionate in nome di quella parola che si chiama “amore”. Quella grande fregatura che ti fa stare nelle nuvole di felicità e in meno di 1 minuto precipiti nella merda di qualche stalla. Già amore per un’altra persona, o per il rapporto che stai vivendo, tutto meno che per te stesso.

Altre volte invece ho avuto rapporti in cui con difficoltà ho dovuto chiedere di indossare il profilattico. Non so cosa scatti nella mia testa: passione travolgente o amore verso quello che sto vivendo, verso chi mi è davanti. In tutti i casi a volte ho fatto sesso non protetto domandandomi poi a posteriori “chi è davanti a me si è fidato perché mi vede in ottima forma fisica, altrettanto io potrei aver avuto un rapporto con un sieropositivo e quindi contrarre una nuova infezione, un nuovo ceppo della malattia”.

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Ho fatto così un patto con me stesso: se non posso controllare ogni rapporto, posso almeno controllare le conseguenze. Avrei aumentato gli esami del sangue da trimestrali a mensili, perché nascondermi non sarebbe servito a nulla.

Le relazioni amorose

Ci sono persone che scoprono di essere sieropositive per caso. Un po’ come Enrico che costrinsi dopo 4 mesi di frequentazione a fare il test, oppure come Marco che, tradendomi fuori dalla coppia, lo contrasse da qualche amante occasionale. Altre persone invece lo scoprono, in modo più drastico perché hanno vissuto per anni nella totale ignoranza e si ritrovano davanti ad una inaspettata patologia.

In tutti i casi spesso le persone non realizzano subito cosa potrà accedere negli anni seguenti perché l’infezione non trasmette alcun segno, alcun sentore visibile a occhio nudo.

Ti senti forte e uguale a prima e con un ottimo aspetto fisico. Quello che invece non sai e che questa infezione ti entra nella testa quotidianamente e si presenta quando meno te l’aspetti. Mentre stai chiacchierando a tavola con colleghi e qualcuno tira fuori il discorso o fa una

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battuta. Mentre sei in un bar o in aeroporto e il telegiornale lancia un servizio sulla sieropositività, oppure quando devi prenotare un colonscopia o banalmente una pulizia dei denti e la domanda arriva puntuale “ha avuto malattie sessualmente trasmissibili?”

È come un tarlo, che lavora nella tua testa, persino quando stai avendo un rapporto e ti accorgi che siete in tre nel letto: tu, il tuo o la tua partner e l’HIV. Il problema è che spesso solo tu sai di essere in tre e qui si apre una forbice sul dire o no del proprio stato al partner.

In dodici anni di sieropositività l’ho detto a 3 partner che puntualmente sono spariti dopo qualche mese. E sino qua tutto lecito. Il vero problema sorge quando la tua condizione viene condivisa a tua insaputa dai tuoi ex compagni al di fuori e con altre persone. Ad esempio, ti ritrovi ad un a cena con perfetti sconosciuti che raccontano una vita senza sapere che è la tua. Li iniziai a comprendere cosa significa “malato” e decisi che per nessun motivo avrei condiviso la mia condizione con futuri partner.

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Avrei utilizzato il profilattico, dichiarando di essere sieronegativo alla domanda. D’altronde se penso attentamente a quante menzogne mi sono state dette al fine anche solo di una semplice scopata…

Certo quelle menzogne non hanno messo a rischio la salute fisica (anche se avrò fatto sesso con sieropositivi che non mi hanno informato di certo della loro condizione), ma sicuramente quella mentale non è stata risparmiata.

Se mi soffermo all’ultima relazione durata tre anni e mezzo in cui per due anni e mezzo sono stato usato come stampella per un vita priva di interessi, come la novità di un giocattolo, e poi l’ultimo anno come “atto di carità” per non aver il coraggio di dire “non sono innamorato di te”, direi che la mia salute mentale è sta messa dura prova. Così ti ritrovi a posteriori a leggere gli ultimi 12 mesi di rapporto come un mare di falsità e ipocrisia.

E dire che mi chiese più volte se fossi sieropositivo, preoccupato talmente del suo “io” da non voler utilizzare il profilattico in più occasioni. Peccato che dopo tre anni e mezzo di relazione con un sieropositivo, lui era sieronegativo (salvo poi rovinarsi con le sue stesse mani dopo qualche mese) e ancora oggi non sa nulla di tutto ciò: non sa nulla delle volte che non

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ho voluto eiaculare per paura di contagiarlo, non sa nulla delle volte che rifiutavo un rapporto con una scusa qualsiasi mentre era solo per evitare di fargli del male. Anzi, è pure convinto di essere un grande furbo quando oggi scappa davanti ad un nuovo ragazzo che gli dichiara la sua condizione.

È così l’ignoranza detta ancora una volte legge: invece di andare da un medico e chiedere tutte le domande che passano per la testa, prima fra tutte come avere un rapporto completo e quali rischi si corrono, si preferisce scappare. Si preferisce avere una nuova pagina davanti da scrivere.

A ben vedere, il problema in noi sieropositivi sorge perché ti senti un piano inferiore, come in debito di amore verso il tuo compagno o compagna consapevoli che restano al tuo fianco nonostante l’infezione. E tu che sei sieronegativo, ti porrai sempre la domanda “potrò mai sentirmi libero di amare chi mi è di fronte?”

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In modo alquanto curioso, alcuni amanti si improvvisano “medici” e quindi nell’atto sessuale ti tastano le ghiandole, oppure se hai il viso troppo magro denota che sei sieropositivo, oppure addirittura vogliono fare pipì insieme non per una fantasia sessuale, ma per vedere il colore dell’urina e capire se sei sieropositivo o meno. E, ironia della sorte, poi mi dicono “si vede che tu sei sano”.

Altre volte invece pur essendo attratto (anzi follemente attratto) o dalla persona o dal rapporto che vorrei vivere, preferisco declinare, dichiarando falsamente di non essere interessato. Altre volte ho voluto vivere il rapporto come “sieronegativo” dichiarato, con un partner sieropositivo. È stato un modo per tranquillizzare la mia coscienza, per dire che se fosse successo qualcosa, non mi sarei sentito in colpa o forse semplicemente dichiarare di amare un persona HIV+ senza farla sentire un malato, voleva dire avere il suo cuore e la sua testa in mano.

Nella realtà invece mi ritrovai che la persona era piena di gratitudine per me, ma non di amore dopo qualche mese.

Quando e come dirlo

Quando dire la verità?

Ho provato a dirlo subito, dopo un paio di settimane e poi dopo un mese. In tutti i casi, mi sono reso conto che non c’è un tempo uguale, ma giusto per ogni persona e rapporto che si sta vivendo.

Certo la reazione dell’ultimo caso non fu delle migliori: “come, dovevi dirmelo subito, hai messo a repentaglio la mia vita per un mese, sei solo un’egoista”. Il che è tutto lecito, se non fosse che almeno io nella mia reticenza a dirtelo non ho fatto sesso non protetto e occasionale, mentre tu non hai esitato ad avere rapporti occasionali non protetti.

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Basta entrare in un qualsiasi locale che possiede una darkroom (quelle stanze con pochissima illuminazione e buie dove si consuma sesso allo stato brado: in piedi come i cavalli o appoggiati ad un parete come i gechi) dove negli angoli non ci si chiede certo lo stato di salute e si procede senza alcuna protezione.

Chissà per quale motivo la stessa persona che ti dice arrivederci quando comunichi la verità, in una darkroom invece si concede senza alcun limite. Eppure sapere di avere davanti un persona con carica virale azzerata e che con trasparenza ti permette di avere rapporti in sicurezza, dovrebbe essere almeno una situazione migliore rispetto ad uno scopatoio al buio.

Mine Vaganti

Non è solo il titolo di un film, ma identifico quelle due tipologie di persone che sono sieropositive e consapevolmente cercano rapporti non protetti con sieronegativi al fine di trasmettere il virus e viceversa, ovvero sieronegativi che cercano rapporti con sieropositivi al fine di contrarre l’infezione.

Ancora una volta l’ignoranza è padrona di casa, ma procediamo per passi.

Qualche mese fa un ragazzo in piena onestà mi disse di essere HIV+ al primo incontro, dopo qualche minuto che stavamo chiacchierando. Fui piacevolmente colpito da quella dichiarazione, ma il seguito non fu altrettanto piacevole.

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Mi disse che l’HIV era solo un’invenzione della scienza e che è sempre esistita perché le persone sono morte sempre di qualche malattia. E aggiunse “basta che vai su un motore di ricerca in internet e digiti “HIV finta malattia” e troverai la risposte”. Già, che spettacolo: dove la ratio e la coscienza non arrivano a giustificare l’irresponsabilità delle persone, ci pensa internet.

La cosa mi preoccupò non poco, per la superficialità e facilità con cui proseguì il discorso dicendo che tanto la prospettiva di vita è allungata con le terapie farmacologiche e che non c’è più nulla da preoccuparsi.

Francamente non so se considerarmi, un pazzo o uno sprovveduto, ma so di certo che se potessi tornare indietro farei altre scelte di vita o forse semplicemente rifarei gli stessi errori, ma in tutti vorrei evitare la sieropositività.

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