La scorsa settimana avevo definito il sesso nostro ‘denominatore comune’. Non intendevo conferirgli meriti ma semplicemente constatare come fosse (unica) caratteristica comune a tutti gli omosessuali l’attrazione per persone del proprio stesso sesso. Come quando a scuola studiavamo che 770 (2x5x7x11) e 765 (3x3x5x17), pur essendo vicini, una volta scomposti hanno in comune solo il 5 – che non è più importante di 2, 3, 7, 11 o 17, né esclude che 770 possa avere in comune con 308 (2x2x7x11) molto di più di quanto non abbia con 765, ma solamente che 770 e 765 hanno il 5 in comune tra loro e anche con 100, 1000, 3465 e tutti gli altri multipli di 5. Ma ora basta coi deliri aritmetici.
Qualcuno comunque non è d’accordo e scrive che, ben più del sesso "ci accomunano le lotte per i diritti civili, certi piccoli disagi che ognuno di noi sente in ambienti di lavoro, nella famiglia, con amici con cui non si è out, il problema dell’accoglienza incondizionata della nostra identità sentimentale (non solo sessuale…), dell’instabilità cronica della maggior parte delle relazioni". Praticamente ci accomunerebbero i problemi, come nell’Italia devastata dalla guerra dove (quasi) tutti erano poveri.
Eppure, anche prescindendo dalle persone felicemente dichiarate (in famiglia, tra gli amici e sul lavoro), siamo sicuri che le battaglie civili siano preoccupazione di tutti i gay, che l’instabilità cronica delle relazioni sia di nostra pertinenza esclusiva e che nessuna coppia gay (o lesbica) sia stabile? Mi pare che il discorso faccia acqua anche senza gli insulti gratuiti che seguono e che non riporto.
Qualcuno invece accusa di parlare di sesso sottovalutando i rischi. Non mi pare che su questo sito informazione e prevenzione siano mai mancate: se in Italia i preservativi costano un occhio della testa lo dobbiamo ai presunti perseguitati di cui sopra, certo non a noi. Se poi ci sono parchi o darkroom ‘pericolosi’, non sta a noi impedirvene l’ingresso. Siete adulti, non bambini, noi non siamo i vostri genitori e non possiamo ripetervi ossessivamente: "Fate i bravi". Ci limitiamo a informarvi, ma poi decidete in piena libertà.
Il sesso, si sa, può essere rischioso: malattie, pericoli con marchette o negli incontri al buio, perfino pene d’amore. Ma a svalutarne il piacere liberatorio non sarò certo io. Se volete flagellarvi andate pure in piazza san Pietro e illudetevi che a chi usa toni apocalittici importi qualcosa di voi. Io mi limiterò a dirvi (sempre): fatelo dove, come e con chi vi piace, ma ricordate di usare il preservativo.
Qualcuno, infine, chiede che si parli meno di sesso e più di amore, e invoca al mio posto l’arrivo di Aldo Busi. In attesa che lui accetti (cosa di cui sono certo, conoscendone la disponibilità a battersi per gli altri), mi riprometto di trattare questioni di cuore già dal prossimo sabato (chi è interessato da adesso scriva a me, anziché alla Aspesi). Prima però vorrei chiudere la polemica sul "troppo sesso" con una considerazione arguta. Non mia, s’intende, ma di un lettore che evita toni aggressivi, apocalittici o moraleggianti. Questione di sfumature.
"Vorrei che il sesso fosse la molla che spingesse i gay a prendere coscienza di sé. Perchè se si fa solo sesso e ci si continua a nascondere con amici e parenti si giunge alla spersonalizzazione più completa. La comparsa di posti e chat gay è una grande conquista ma, scusatemi, è sempre la dimostrazione che c’è ancora tantissimo da fare. E’ questo il fronte che ci dovrebbe accomunare molto di più: la coscienza della nostra diversità non ancora pienamente capita e accettata".
Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.
Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.Per scrivere a Flavio Mazzini clicca qui
di Flavio Mazzini
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