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La scorsa settimana accennavo ai tanti timori, precauzioni, scrupoli prima di un incontro molto hard con un perfetto sconosciuto. Oggi mi tocca un più banale resoconto degli eventi. Ricordo brevemente per chi non fosse pratico di questa rubrica che si trattava di un ragazzetto conosciuto in chat: giovane, snello, glabro ed estremamente esigente. A me, decisamente più maturo, sarebbe toccato il compito di legarlo, bendarlo, dominarlo, cercando di non fare brutta figura come portabandiera della mia generazione.
Non sapendo bene da dove prendere le mosse, ho deciso di iniziare con qualcosa di soft, limitandomi a dargli qualche ordine. L’ho obbligato a spogliarsi, come avrei sempre voluto che un ragazzo facesse davanti a me: da spettatore e al tempo stesso da regista della scena. Lo strip non è mai scontato, da solo meriterebbe molta maggiore attenzione, specialmente quando lo si fa. Però in quel caso mi piacque che fosse rapido, come un coito non trattenuto, come un anticipo di sveltina. Troppa era la fretta di giocare con quel che c’era sotto che non ho pensato proprio al piacere di gustare la scoperta delle sue nudità per gradi.
L’ho quindi condotto verso le mie parti intime. Con determinazione ma senza fargli male, in nessun modo. Dopo un primo assaggio della situazione privo di orpelli, l’ho bendato. Mi divertiva che si avessero ruoli più definiti. Me ne rendevo conto vedendo questo ragazzetto affusolato e senza peli completamente ai miei comandi.
Il desiderio di possedere completamente qualcuno, di disporre del suo corpo, avendolo totalmente nelle proprie mani, è forse men forte solamente di quello di trovarsi dall’altra parte. Il passivo comincio a pensare che goda più dell’attivo (quando ovviamente l’attivo ci sa fare). Forse anche perché io, che nel gioco ero il padrone, avevo talvolta il dubbio di non essere all’altezza, di non farlo godere abbastanza.
Ma il mio bel ragazzetto sembrava apprezzare, gradino dopo gradino, tutto il repertorio che stavo allestendo per lui…
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Ma il mio bel ragazzetto sembrava apprezzare, gradino dopo gradino, tutto il repertorio che stavo allestendo per lui, con lui e su di lui. Ho infatti pian piano cominciato a spingermi oltre, fino a legargli artigianalmente i piedi utilizzando i miei slip ma lasciandogli libere ancora le mani. Dopo di che ho tirato fuori un dildo.
Di solito i dildo, come tanti altri accessori, non mi suscitano alcuna eccitazione, ma lui me lo aveva chiesto esplicitamente in chat e da anfitrione non potevo rifiutarmi. E poi l’attrezzo ben si adattava a simulare un rapporto a tre della misura più adatta: due a uno, due attivi (io e il dildo, cui non va proprio di fare il passivo) e uno in mezzo che riceve e gradisce, quasi una sorta di sezione aurea del sesso.
Lo penetravo con quel coso mentre lui si dedicava alla fellatio con quello vero (il mio), che poi alternavo nell’atto con il fallo finto, facendogli assumere le pose meno consuete, girandolo, rovesciandolo gambe all’aria, mettendolo di fianco, facendolo sedere. Sempre con tanto di dildo al seguito. Con quel partner relativamente impedito nei movimenti ma assai leggero di stazza, più che disponibile a farsi fare qualunque cosa mi passasse per la mente, ho finito per rivalutare anche l’oggetto.
Insomma non ci siamo annoiati. Da “novizio” (almeno rispetto a chi ne fa uno stile di vita) del BDSM mi sono limitato alle cose più semplici, in uno scambio di attenzioni la cui scelta dipendeva unicamente dalla mia volontà, ma nella quale sentivo fortissimo il piacere regalato all’altro. Ho inoltre vinto la paura di non essere all’altezza e anche quella di fargli male, di esagerare. Insomma, l’ansia da prestazione con un po’ di buona volontà e con il partner adatto non è un problema.
Al termine del rapporto, ennesima incursione nel pianeta del sesso in cui avevo esplorato un continente per me quasi sconosciuto (ma nel quale spero di poter entrare ancora), credevo di poter tornare alla realtà senza eccessivi traumi. Dopo aver fatto quello che avevamo fatto, sarebbe stato complicato far finta di niente, altrettanto quanto fare commenti inopportuni sarebbe stato sgradevole.
Ho però pensato di salutarlo almeno con una battuta innocente: “Dovresti fare il porno attore”. Al ché – potevo anche immaginarlo – mi ha confessato di averlo fatto. L’ho legato di nuovo alla sedia (stavolta metaforicamente) e l’ho costretto a raccontarmi tutto. Lo scoprirete la prossima settimana. Sempre che tutto ciò non vi annoi.
Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista “dall’interno”, e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.
Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.
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di Flavio Mazzini
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