La scorsa settimana mi sono abbandonato a un tenero amarcord del tempo in cui era appena sorta la seconda repubblica ed io, poco più che giovinetto imberbe, mi trovavo ad accoppiarmi coi miei simili in spazi improvvisati. Con nostalgia ho citato quella 127 che ogni tanto ancora sogno la notte, illuso che il tempo non trascorra mai e che lei possa essermi ancora complice di scorribande notturne.
Il passato, non sono certo io a scoprirlo, si ricorda con un pizzico di malinconia anche nei suoi aspetti più lussuriosi. Lo sa bene chi, come me, ha avuto vent’anni, una macchina e un’intensa attività sessuale. Quindi, spero, un po’ tutti voi. Perché col tempo le cose cambiano e il possesso di un appartamento tutto per sé (o anche solo di una stanza dove poter fare i propri comodi) costituisce al tempo stesso una conquista e una perdita. Senza che ormai si sia disposti a rinunciarvi.
«Stai tranquilla», ripetevo infatti qualche anno fa a mia madre che temeva di riavermi in casa, causa uno sfratto imminente, «piuttosto che tornare da voi mi ammazzo». La rassicurazione per l’anziana genitrice non era stimolata comunque dalla sola necessità di avere un letto a totale disposizione. Anche perché nel frattempo, venuta a mancare la 127, io avevo imparato a seguire i consigli di mio padre. In particolare quello di fare un doppione di qualunque chiave mi capitasse tra le mani.
In quel modo avevo potuto usufruire di vari uffici nei quali avevo lavorato, di case di amici, di appartamenti abbandonati. Fu proprio in quel periodo clandestino che la mia vita erotica prese a scindersi fatalmente da quella sentimentale. Dopo un susseguirsi pressoché continuo di storie e storielle durato otto anni, decisi allora di vivere una pausa di riflessione. E di dedicarmi al sesso.
Grazie anche alla maggiore apertura mentale e all’inversamente proporzionale calo delle inibizioni e delle paure, si sviluppò una mia filosofia, che consisteva nel non considerare un ragazzo solo per l’aspetto esteriore ma – fatto salvo un minimo di attrazione fisica di base – metterlo alla prova. Riuscii così ad accettare proposte un po’ inquietanti, che nemmeno sapevo se mi avrebbero eccitato. Anzi, spesso ero convinto del contrario. Sbagliandomi.
Non serve che io elenchi le situazioni vissute in quell’alba della mia seconda giovinezza. Basta dire che divenni consapevole che dopo i trenta ci si può divertire molto di più che a venti. Specie se a venti ti sei sentito già vecchio, prigioniero di timidezza, frustrazioni, desideri irrisolti, e altre sciocchezze da cui spesso proprio i più giovani sono attanagliati.
Tra tutte le situazioni vissute, mi piace solo accennare all’incontro con il primo schiavo della mia vita. Ossia, un ragazzone di un metro e novanta che mi attese giù al portone senza guardarmi in faccia, che si fece guidare per le scale a occhi chiusi e che poi, entrato nell’appartamento, si fece cingere il viso con una maglia arrotolata e cominciò ad ubbidirmi.
Pur non disdegnandone l’aspetto, ritrovarlo ai miei piedi, bendato, completamente nudo e pronto a soddisfare ogni mio capriccio, costituì una forma di eccitazione più curiosa che se avesse gettato in un angolo la maglia e si fosse catapultato sul divano per giocare insieme a me nelle posizioni più canoniche.
Non voglio dire che fosse meglio. Fu solo diverso: lo strano modo di provare eccitazione, il rapporto unilaterale nel quale, per sua volontà e per mio desiderio di rispettare le regole del gioco, io non prestavo alcuna cura particolare al suo corpo, l’atteggiamento quasi estatico del zelante servitore (che mi svelò territori a lungo ignorati).
Il sesso non è solo questo, lo ripeto. Io mi limito a narrare situazioni e possibilità, non intendo stabilire graduatorie o imporre stili di vita. Sono perfettamente consapevole che un rapporto intimo tra due persone può essere molto intenso senza dover ricorrere a nessuna anomalia e che, per contro, la trasgressione può facilmente scivolare nel grottesco. Come quando Monica Vitti chiedeva ad Alberto Sordi (che le leggeva poesie dentro una 500): «Dime porca, che me piase de più».
Anche per questo mi riprometto di abbandonare bendaggio e dominazione e di raccontare, la prossima settimana, un’esperienza ben più edificante. Ossia – escluse le analisi e quando da bambino venivo pizzicato dalle meduse – la prima volta in cui le mie urine ebbero un utilizzo pratico. E regalarono un attimo di gioia a qualcuno.
Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.
Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.Per scrivere a Flavio Mazzini clicca qui
di Flavio Mazzini
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