Tagliato il traguardo dei trenta, ti guardi le rughe allo specchio e ammetti che hanno il loro fascino. Metti da parte i dubbi, quell’amante occasionale incontrato per caso dopo dieci anni e che hai faticato a riconoscere, e decidi che sei ancora molto giovane ma con in più un bel po’ di esperienza.
Quando però torni dopo tanto tempo in discoteca ci trovi frotte di ragazzini mai visti prima che, quando tu già andavi lì a far finta di ballare, avevano (al massimo) dieci anni. Molti di loro ti vedono come un uomo vissuto, se non addirittura “un vecchio”. Il che non vuol dire che non abbiano voglia di succhiartelo e adagiarsi nelle posizioni più pittoresche, solo che preferiscono uno snervante percorso romantico: non amano, specie in pubblico, gli approcci sfacciatamente sessuali.
Ignorano le lotte sostenute dalle generazioni precedenti per conquistare spazi senza farsi massacrare dalla polizia o dai naziskin. Si ritrovano tutto bello e pronto.
Hanno amiche e pure amici etero che li accettano, fratelli maggiori che li proteggono, spesso perfino padri di vedute aperte e madri che mettono profilattici nelle loro tasche (in fondo fa chic parlare del figlio gay dal parrucchiere e si evita di trovarsi in salotto una nuora avida).
Per cui, in mancanza di ostacoli, molti ragazzi iniziano a crearseli da soli. Si ostinano a soffrire stoicamente in cerca di una storia, anzi della “Storia”, quel rapporto limpido e totalizzante con un partner capace che li scopi selvaggiamente e ripetutamente fino a che la passione sarà sopita, lasciandoli come la mamma di Amleto, affranti un paio di giorni prima di rimettersi a caccia.
Questo falso romanticismo sfacciato e ipocrita impazza in discoteca come nelle chat, gremite di bimbetti che pretendono di insegnarti a vivere e necessitano di quintali di apostrofi rosa per togliersi le mutande. In continua contraddizione tra ciò che credono di essere e i mostri che in realtà sono, mettono una loro foto sottobraccio alla solita amichetta frociarola cancellata con approssimazione, oppure una di quando erano bambini o peggio ancora qualche anonimo paesaggio o perfino un manga. Sotto l’immagine irritante scrivono cose del tipo “No sex please”: per piacere niente sesso. Quanti me ne sono fatti!
La stessa definizione con cui chiamo questa generazione l’ho rubata di sana pianta ad uno con cui non ho mai condiviso altra esperienza oltre la penetrazione, che non mi ha mai chiamato per andare al cinema, a bere qualcosa o uscire a fare una passeggiata (roba da finocchie d’altri tempi…).
L’importante è non cedere alla tentazione di sottolinearne le contraddizioni. In fondo questi ragazzini No Sex, curiosa alternativa gay ai No Global, vogliono solo essere sbattuti a sangue da uno che finga di non cercare sesso ma di essere stato travolto dal loro fascino. Vogliono essere un’eccezione per noi come noi dovremmo esserlo per loro.
Così, se chiedi a uno in chat che cosa cerca e lui ti risponde che non cerca sesso, evita di fargli notare che non hai chiesto cosa non cerca ma stai al suo gioco, ossia fagli credere che credi che lui sia quello che crede di essere o, più probabilmente che crede di farti credere. Chiaro, no?
“Nemmeno io cerco sesso”, bisogna dire, “anzi, mi fa piacere vedere che ci sia qualcuno che non fa le solite domande”. Dopo di che passi a fare le solite domande (come sei, di che zona, cosa ti piace, ecc.) ma con l’avvertenza, per piacere, di non fraintendere: vuoi solo capire chi hai di fronte per dare un volto (e un corpo) allo sconosciuto romanticone che potrebbe trasformare la tua vita in un letto di rose senza spine.
Il letto, ultimo avvertimento, dovrà entrare con discrezione. Per evitare scomodi rotolamenti nei parchi o nelle auto di cui con gli anni si è persa la dimestichezza, bisogna portare il ninfetto a casa e indirizzarlo sul materasso con naturalezza. I corpi si devono avvicinare quasi per caso, sfiorandosi con dolcezza e severità paterna senza nulla di sessuale: bisogna attaccare la spina all’interruttore, il resto verrà da sé.
Questo il consiglio per i miei coetanei. Quanto ai ventenni che volessero evitare di perdere tempo in inutili manfrine, posso solo consigliare di andare coi trentenni: non sono affatto vecchi e sono molto più bravi a letto dei loro coetanei…
Flavio Mazzini, trentenne, giornalista, ha deciso di prostituirsi con uomini per raccontare le proprie esperienze nel libro “Quanti padri di famiglia” (Castelvecchi, 2005). Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso. Per scrivere a Flavio Mazzini, clicca qui.
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di Flavio Mazzini
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