È una di quelle domeniche senza senso. Si chiama un amico per non stare da soli. Si scende in videoteca cercando il DVD di un film che non abbia visto tu, che non abbia visto lui, che non sia demenziale ma che non richieda neppure l’attenzione di uno scienziato nucleare alla presa con gli esperimenti di fissione e quindi alla fine si decide di non prendere nulla. Si risale e sul divano, bevendo una birra, ci si confida quali obiettivi di vita sono stati mancati, quanti centrati ma soprattutto con quanti uomini si è andati a letto nella propria vita.
"Dopo il dodicesimo io ho smesso di contare", faccio cercando di far emergere i loro nomi dai flutti della memoria. "Io ormai li conto in legioni", fa il mio amico sottintendendo che sappia quanti soldati occorrevano per completarne anche solo una (3000, mi rivela). Il suo gusto per l’iperbole è divertente e io gli vado appresso schierando le mie di truppe in un ironico Risiko sessuale.
Sono cose che ci diciamo tra di noi, con quella confidenza da spogliatoio che non teme giudizio morale. Ci confessiamo però che un certo imbarazzo lo avremmo qualora a farci la domanda (che un buon galateo dei nostri giorni dovrebbe vietare più che chiedere l’età a una signora) fosse qualcuno con cui usciamo e che vorremmo diventasse "quel" qualcuno. A quel punto sorgerebbe il dilemma: meglio essere sinceri fin dall’inizio o è preferibile dare una smussatina a quegli angoli che rendono il bordo della nostra vita un po’ troppo spigolosa?
Lo stigma della promiscuità purtroppo è una lettera scarlatta che anche i più risolti di noi portano mal volentieri. Così, imputati alzati a rispondere a quella domanda tanto impertinente, finiamo per mettere una mano sulla Bibbia e l’altra dietro la schiena nascondendo al giudice un incrocio di dita spergiuranti e, come nel passaggio dalla lira all’euro, si tolgono tre zeri e poi, per essere ancora più sicuri, si dimezza ancora il risultato.
Del resto tutti cerchiamo di dare la migliore impressione possibile ed è comprensibile un attacco di codardia perché, a meno che non si voglia fare colpo su Francois Sagat, sappiamo bene che molti si lasciano influenzare non tanto da quanti libri si è letto ma con quanti si è finiti a letto. Nell’attesa quindi che la confidenza si cementi diventando intimità e comprensione, cerchiamo di infilarci un grembiule da educanda a costo di diventare cianotici per il colletto troppo stretto, rimandando a "un dopo" lo svuotamento del sacco se non direttamente portando nella tomba il numero che compone la lista infernale.
Quando mi lamento del fatto che nel "nostro ambiente" chi viene tacciato di promiscuità viene visto come fosse uno che si diverte ad affogare cuccioli di gatti nell’acqua calda, le mie amiche etero mi confortano e, con un pizzico di rammarico, confermano che anche tra di loro è più o meno lo stesso (certo, il numero di uomini per venire retrocesse nel girone delle "promiscue" nel loro caso è infinitamente più basso). Situazione che invece si ribalta a 180° tra i ragazzi che solitamente mi rispondono: "beati voi che potete farlo!" ("la cosa in se, non il fatto che vorrei avere rapporti con uomini!", è quanto poi si affrettano a precisare).
Promiscuo, ci dice il signor Zingarelli, è "un costituito di cose o persone mescolate tra loro in modo confuso e indistinto". Che letto così non ha quell’accezione infamante e decadente che invece solitamente pesa come una condanna morale. Ma a che numero allora si inizia ad esserlo? Se basta aver aiutato ad attraversare la strada una vecchina a 8 anni spinto dai moniti della maestra per campare poi di rendita tutta la vita rivendicando l’aggettivo di "buono", quanti uomini devono aver attraversato la tua camera da letto prima di venir bollato come "promiscuo"? Ovvio, se lo chiedete a me, non mi susciterete alcuna espressione di perplessità finché non avrete ammassato truppe sufficienti ad invadere la Cina, se lo chiedete a mia cugina che uno ne ha conosciuto e quello si è sposato, magari le cose cambiano.
Per la mia esperienza invece, mi scuserà il signor Zingarelli, penso che "promiscuo" abbia in certi ambiti un’evoluzione semantica che lo trasforma in un aggettivo da salotto per dire puttana, uomo o donna che sia. Un modo garbato, affettato ed efferato per aggettivare con disprezzo chi vive la propria sessualità con un’allegria insopportabile per i suoi detrattori, il che fa nascere il sospetto che dietro a tanto disprezzo non ci sia piuttosto un pizzico d’invidia nei confronti di chi fa quello che loro solo sognano, proprio come in un brutto remake de "Il comune senso del pudore" dove i vizi privati, con uno spesso strato di mascherone sopra, diventano invece pubbliche virtù.
di Insy Loan ad alcuni meglio noto come Alessandro Michetti
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