Roma, Castel Sant’Angelo, tardo pomeriggio di una giornata caldissima dell’estate 2006. Sdraiato sul prato, osservo un ragazzo appena conosciuto dopo alcune rapide conversazioni in chat: uno studio attento ma non invadente di cosa pensa, di cosa dice, di come lo dice, di come sono la sua bocca, la sua pelle, i suoi occhi e tutto quanto risulta visibile a occhio nudo.
Bambini giocano tutto intorno, gruppi di cani scorrazzano, coppiette passeggiano tenendosi per mano, qualche signore anziano incede lentamente, io continuo ad abbandonare lo sguardo verso il mio nuovo amico, alla scoperta delle zone più recondite del suo animo. Tutto a un tratto ci si fa incontro un uomo, più o meno della mia età. Accanto a noi c’è in bella evidenza un pacchetto di sigarette. Sarà difficile rifiutargliene una, penso io.
Mi sbaglio, perché l’uomo non ha intenzione di scroccarci nulla, né di rimproverarci per atteggiamenti licenziosi, visto che ci stiamo controllando. Vuole solo chiederci un’informazione. Non su una strada o su un bar, per mezzi pubblici o per sapere dove si balla. Domanda solo: “Scusate, ma s’è saputo niente del piccolo Tommaso?”
Si riferisce alla vicenda tragica del bambino rapito ed ucciso. Io rispondo che purtroppo è morto. Lui mi chiede notizie dei rapitori. Dico che non se ne sa ancora niente. L’uomo ringrazia e si allontana. Il mio amico sostiene che ci sta provando, ma non è chiaro con chi dei due. Io scuoto la testa: secondo me si tratta solo di un pazzo. Dopo qualche metro l’uomo si volta, ci guarda e dice che quella è una storia assurda e che la gente è matta. Ora, va bene che esistono centinaia di modi per abbordare e che non sono solo gli eterosessuali ad essere completamente negati, però la tesi del rimorchio mi pare faccia acqua.
Qualunque scopo avesse comunque quel tizio, il problema dell’abbordaggio – ma anche di quello che si riesce a dire dopo Sdraiato sul prato, osservo un ragazzo appena conosciuto dopo alcune rapide conversazioni in chat.aver rotto il ghiaccio, quando non è ancora sciolto ma è in più pezzi grossi ed indigesti – è che non esiste la soluzione unica. Tutto dipende da chi abbiamo di fronte, come siamo di umore in quel momento, quanta capacità abbiamo di aprirci e di rischiare, ecc.
Un’unica certezza si nasconde dietro le mille variabili: la timidezza – per quanta tenerezza certi individui giurino faccia loro – è solo una colossale fregatura. Ve lo garantisce un ex timido, che si è visto soffiare sotto il naso un sacco di ragazzi (che sarebbero stati molto più volentieri con lui) ad opera di amici più grandi e più svegli. Meglio passare da sfacciati, dunque, che lasciarsi fregare senza reagire.
Il guaio è che per vincere la timidezza serve una forza incredibile: quello che è semplice e naturale per molti può divenire un problema serio per altri. E’ possibile perfino che due ragazzi si guardino per tutta una serata senza riuscire mai al trovare nessuno dei due il coraggio di andare dall’altro, nemmeno con la scusa della sigaretta, sentendosi rispondere: “Non fumo”, e aggiungendo magari: “Nemmeno io”…
Un amico mi scrisse un sms sull’insicurezza in genere, che credo meriti la conclusione: “Per gli insetti si chiama “tanatosi”: davanti al pericolo, ad una minaccia o semplicemente a una situazione sconosciuta, irrigidiscono busto ed arti e fingono di essere già morti. E’ un meccanismo di difesa. In questo modo sanno che eviteranno di essere aggrediti. Gli esseri umani, invece, usano altri metodi. Magari chiedono scusa in continuazione. ‘Non mi potranno aggredire, ho già chiesto scusa in anticipo’. Non funziona quando nessuno ci vuole aggredire”.
Flavio Mazzini, trentacinquenne giornalista, è autore di Quanti padri di famiglia (Castelvecchi, 2005), reportage sulla prostituzione maschile vista "dall’interno", e di E adesso chi lo dice a mamma? (Castelvecchi, 2006), sul coming out e sull’universo familiare di gay, lesbiche e trans.
Dal 1° gennaio 2006 tiene su Gay.it la rubrica Sesso.
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di Flavio Mazzini
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