CHI HA PAURA DEL PACS?

Editoriale del nostro direttore: non facciamo prevalere il massimalismo, non buttiamo via il lavoro di 10 anni. Così stiamo facendo solo un favore a Rutelli.

CHI HA PAURA DEL PACS? - kiss2pacs 1602 - Gay.it
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CHI HA PAURA DEL PACS? - mardigras030016 - Gay.it

Non mi scandalizzo nel dire che non ce la faccio proprio a riconoscermi nelle posizione assunte da Arcigay ed Arcilesbica sul programma dell’Unione per il governo del paese presentato questa mattina a Roma.
Certo, non sono felice di quella formulazione. Avrei di gran lunga preferito quella uscita mesi fa dal vertice di San Martino in Campo. Ma ciò nonostante, penso che le condizioni politiche di questo paese non permettano purtroppo una formulazione per noi migliore e che anzi sia stato già straordinario arrivare comunque a questo punto.
Nonostante i sondaggi dicano ormai cose diverse, è indubbio che una parte consistente del centro-sinistra, Margherita e Udeur in testa, ma anche settori minoritari e silenti dei DS, abbiano il terrore che un disegno di legge proposto dal movimento omosessuale – perché da lì la proposta di Franco Grillini nasce – possa diventare legge dello Stato. Anche simbolicamente, prima ancora che nella pratica, questo rappresenterebbe comunque una vittoria per il movimento lgbt e una sconfitta per il Vaticano e il vasto mondo che a questo fa riferimento. Da questo nasce l’imbarazzo di Rutelli and co., la proposta dei Contratti Collettivi di Solidarietà (appunto contratti, termine che ben si adatta agli accordi tra gli individui), la prima formulazione del programma dell’Ulivo e quest’ultima decisa l’altro ieri a Roma.

CHI HA PAURA DEL PACS? - ale chri costanzo01 - Gay.it

Per fortuna e purtroppo, il PACS è diventato in questi mesi un feticcio, un moloch intorno al quale sono ben altre le partite che si giocano. Oggi il PACS è una questione identitaria per tutta la sinistra, la frontiera simbolica del laicismo, fra chi – me compreso – sempre meno tollera l’ingerenza vaticana nelle faccende nazionali e chi con questa è disposto – o è costretto – a farci i conti. Vi pare possibile che una proposta di legge tutto sommato così innocua e così moderata rispetto anche a quanto fatto in altri paesi europei, debba meritare così tanta eco sui giornali e sulle televisioni, tanto che ormai si parla più di PACS rispetto a temi della politica che oggettivamente riguardano molte più persone, come la lotta alla disoccupazione, la scuola, la politica fiscale e così via? Questa così forte attenzione da un lato è stata la nostra fortuna, perché mai così tanto hanno discusso gli italiani come in questi mesi di pre-campagna elettorale di coppie gay e lesbiche, ma anche la nostra sventura, perché sta proprio in questo valore simbolico assunto dal PACS il motivo di questa scelta contenuta nel programma dell’Ulivo.
Ma veniamo al merito. Quale scelta così nefasta per le sorti progressive delle nostre coppie – mia compresa – è stata fatta dai leader del centrosinistra, con plauso pure del tenace Fausto Bertinotti e del bisessuale Alfonso Pecoraio Scanio? Il fatto che nella formulazione definitiva sia saltata l’esplicitazione della creazione di un nuovo istituto giuridico, “PACS” o “Unioni Civili” poco importa, e che il testo sia decisamente più generico: “L’Unione proporrà il riconoscimento giuridico dei diritti, prerogative e facoltà alle persone che fanno parte delle unioni di fatto”, pur continuando a precisare che “al fine di definire natura e qualità di una unione di fatto non è dirimente il genere dei conviventi né il loro orientamento sessuale”. In sostanza, che le coppie siano etero o omosessuali poco importa.

CHI HA PAURA DEL PACS? - alessio christian02 - Gay.it

Cosa vorrà dire questo, nel concreto? Ammesso e non concesso che questo sarà lo schema della versione definitiva della legge, nessuno oggi ci garantisce che ci sarà un istituto giuridico specifico – come era il PACS – che le coppie di fatto potranno siglare: il solo fatto di stare insieme ad esempio qualche anno, magari registrandosi come conviventi all’anagrafe, darà vita a “diritti, prerogative e facoltà”. Quali? Beh, le solite cose su cui stiamo puntando il dito da tempo: reversibilità della pensione, possibilità di lasciare in eredità tutti gli averi al proprio partner e così via. Tutte faccende su cui un registro comunale, una legge regionale o i contratti privati possono fare molto ben poco, e su cui l’unica che riesce ad incidere è una legge nazionale. Il carattere pubblico è quindi garantito e su questo aspetto bisogna insistere: se vogliamo risolvere queste questioni centrali, vi deve essere l’opponibilità a terzi, ad esempio, di un testamento. Mancherà invece, molto probabilmente, “rebus sic stantibus”, l’aspetto celebrativo dell’unione, che i PACS garantivano con la firma dell’atto.
Questa, Signori, è l’Italia. E’ l’Italia che permette a Ministri della Repubblica di usare il termine culattoni per definire il 5% della popolazione (ancora oggi, lo ha fatto il ministro Calderoli, tipico caso di omofobia interiorizzata), è l’Italia che multa un giudice che decide di togliere il crocifisso dall’aula del tribunale, è l’Italia dove un messaggio pubblicitario “Meno Vaticano” non viene accettato, perché ritenuto offensivo dal quotidiano che è il principale punto di riferimento per i laici italiani (è notizia di ieri). Ma con questa Italia, se non vogliamo salire sull’Aventino, dobbiamo fare i conti pur senza rassegnarci.
E’ questo spirito che a mio modestissimo parere manca nella coraggiosa e coerente presa di posizione dei vertici di Arcigay e di Arcilesbica. Se questo è il miglior compromesso che potevamo portare a casa, mettiamolo in saccoccia: da domani sosterremo quelle parti dell’Ulivo che ci garantiscono di ottenere il miglior risultato possibile, partendo dalla modestissima formulazione contenuta nel programma.
C’è un detto nella comunità ebraica, fatta come si sa da astuti commercianti, che vale la pena di ricordare in questa fase: un compromesso buono è quando entrambe le parti escono dalla trattativa con un po’ di amarezza, e così è stato in questo caso, se è vero che comunque a pezzi del centro-sinistra questa formulazione non piace, perché avrebbero preferito che questa tematica il programma proprio non la trattasse.
Le nostre urla, i nostri strepiti, sono manna dal cielo per Francesco Rutelli, cui stiamo regalando la possibilità di dimostrare al Vaticano che non hanno nulla da temere di una formulazione su cui, appunto, i gay non ci stanno.
Il massimalismo, si sa, è una malattia insidiosissima, più contagiosa di una banale influenza. E’ molto più facile gonfiarsi il petto contro il nemico, invocare i famosi “principi”, urlare allo scandalo, che ragionare sui risultati possibili, sulla necessità assoluta di mediare, mediare e ancora mediare fino allo sfinimento se l’obiettivo è di portare dei risultati a casa, e di non fare testimonianza. Ma il ruolo di un gruppo dirigente coraggioso è esattamente questo, se non vuole soffiare sulla demagogia. E il rischio di buttare a mare un lavoro tenace, quotidiano, che dura da oltre dieci anni, è davvero troppo grande.
Il mio invito va proprio in questa direzione: non facciamoci mettere in un angolo, rilanciamo, cerchiamo di non perdere la capacità di capire fin dove è possibile spingere e il limite oltre il quale si rischia di strappare, garantiamoci il risultato migliore in caso di vittoria del centro-sinistra, sostenendo apertamente i candidati che sulle nostre tematiche non hanno dubbi di sorta. Anche perché l’alternativa mi pare decisamente peggiore: se vincerà il centro-destra, saremo assolutamente certi che le unioni di fatto rimarranno per anni senza nessuna copertura legislativa, con buona pace di tutti noi culattoni.

Alessio De Giorgi, Direttore, email alessio@gay.it

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