Moltissimi gay hanno un’amica con la quale si confidano e dalla quale ricevono confidenze. Nei locali spesso si vedono ragazze che sono in compagnia dei loro amici gay. Ho notato che si suddividono principalmente in due categorie: le bellissime e le bruttarelle spesso un po’ paciocche. A prima vista si direbbe che le bellissime sono attratte dal gay modaiolo e le piu’ bruttine trovino qui un ambiente piu’ confortevole e meno ostile.
La domanda è cosa c’è di altro che giustifica una frequentazione che spesso diviene esclusiva di ragazzi gay da parte di alcune di queste ragazze? che poi spesso finiscono per innamorasi anche del loro amico o di un altro gay.
Ed infine. La mia amica frequenta ogni tanto qualche locale con me. Ormai crede di quasi tutti i ragazzi siano gay… Esiste una categorizzazione per questo tipo di “fobia”?
Grazie
Giovanni
Ciao,
da quello scrivi e dalla domanda che fai immagino come facilmente possono crearsi stereotipi e facili categorizzazioni che, seppur nella loro apparente scientificità, creano in me ilarità anche se in parte le riconosco come vere; resta comunque uno sterile stereotipo. Per di più se si tenta di dividere in maniera cartesiana e seguendo criteri estetici, bello/brutto. Vorrei eludere la tua domanda che mi sembra tendenziosa, abituato professionalmente e umanamente ad evitare categorie e diagnosi di personalità generalizzando! Ma sono qui anche per suggerire che tutti siamo diversi e uguali allo stesso tempo, e che ognuno sceglie di costruire la propria vita sociale seguendo le proprie inclinazioni e caratteristiche, a volte sostando, vagando e sbagliando il percorso personale di realizzazione di sé. Ognuno ha i suoi tempi per conoscersi, attraversa dubbi e fa specifiche esperienze, a volte anche negative, per capire realmente chi è, dove si trova e sta andando.
Se la tua amica crede che frequentare la comunità gay sia ottimale per lei, allora accetta la sua amicizia così com’è e, se crede che gli uomini siano tutti gay, si accorgerà ben presto che non è così, ma, mi chiedo, sta forse evitando qualcosa? Non so, è solo un’ipotesi che puoi valutare con lei partendo, però, dal fatto che è solo un’ipotesi, non una verità certa e assoluta della sua esperienza personale e unica.
No, quindi, alle categorizzazione riduzionistiche dell’essere umano, no alle definizioni e interpretazioni create dall’esterno – sapiente e onnisciente – della persona umana ma accettazione e accoglienza della diversità e soprattutto RISPETTO per l’esperienza dell’altro per come egli ce la comunica e per come definisce se stesso.
Queste le basi che possono permettere l’incontro autentico, lo scambio intimo e la relazione soprattutto quella d’aiuto… infatti, ti chiedo a cosa servirebbe sapere se esistono tali categorie psicopatologiche?
Caro Gian, fai questa domanda per aiutarla? O per comprendere te stesso e il genere umano? Se così, allora un suggerimento, se mi permetti: vivi l’esperienza dell’altro e della sua diversità nell’ascolto sincero e rispettoso, senza valutazioni, giudizi e interpretazioni, magari ridendoci sopra, ironizzando, mai pensando in termini di categorie e patologie -“fobie” -, a volte irrispettose e inappropriate dentro qualsiasi relazione.
Grazie per la domanda che, credo, possa interessare alcune (?) persone, con una mentalità un po’ troppo razionalista e positivistica, diciamo… retrò.
Dr. Maurizio Palomba
Per approfondimenti su questo argomento: Del Favero-Palomba, Identità diverse, Kappa ed. 1996.
di Maurizio Palomba
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