BENVENUTI A TRASHVILLE

Sanremo. La trans cattivo esempio e la bulgara simbolo, Baudo acchiappatutto e Bocelli opinionista, la guerra che si spera non rovini il palinsesto e il business sulla pace. E non è che la vigilia.

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Benvenuti a Trashville. San Remo, Italia. Insomma, Italia…ultimo lembo sfilacciato, ultima frangia di frontiera come questa RAI di giapponesi di cui Baudo è la statua di cera, l’esempio vivente. Inossidabile e immarcescibile.

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Uno Strapippo, un Megabaudo che ha rifiutato la presenza di Cristina Bugatty (foto) con spiegazioni assurde, intollerabili, e accetta senza muovere un sopracciglio, senza scomporsi un capello trapiantato, la presenza al Dopofestival di tale Michelle Bonev, una presuntuosa e sconosciuta nullità bulgara, (dall’accento tetro che ricorda certe spie del KGB) che tutti definiscono come “protetta” di personalità molto in alto della RAI, e che si occuperà del look dei vari personaggi(?!?). Bruna, giunonica ma non una bellezza travolgente, vacua e insignificante, per significare qualcosa e per giustificarsi, pur sentendosi nel suo intimo Virginia Woolf, si definisce in tutti i modi possibili (sceneggiatrice, scrittrice di un libro ancora in cerca di editore e di titolo, nel nuovo film di Mel Gibson sulla vita di Cristo interpreta una cortigiana di Erode, quindi anche attrice, perché no, poverina). Afferma, senza vergognarsi neanche un pochino, che al Dopofestival, se ci fosse stato Sgarbi, non avrebbe potuto metterla in ombra perché ”Non si può mettere in ombra la luce…” (E sia la luce, e sia la bulgara raccomandata dal pelato in bilico di una Rai in frattaglie) Ma vi rendete conto? Tutto questo è accettabile, per il nostro Pippone Onnivoro, la Bugatty no. La vostra inviata-disgustata non vede l’ora di osservare all’opera questo genio scoperto all’ultimo minuto, questa spettacolosa donna di spettacolo (che non offende il buon senso e il buon gusto come la Bugatty, anzi esalta il ruolo della donna che fa di tutto e di più) e magari di intervistarla.
Ma non c’è solo lei a scandalizzare, insieme ai lustrini e alle paillettes (arrivando di sera sembra di entrare in uno dei vestiti che Gina Lollobrigida si confeziona da sola, è tutto uno zampillo, un brillio, un palpito di luci, un brusio di voci che si parlano addosso, di giornalisti e fotografi d’assalto che non si tolgono il pass neanche a letto). E’ la San Remo dove vivo, la conosco già. E’ folle anche negli altri mesi, ve lo giuro, ma di una follia più discreta , percettibile e a volte quasi intrigante. Adesso diventa follia condivisa, paranoia contagiosa. Succede da sempre ma quest’anno si respira un sapore precario, un sentore terminale, sembra di sentire, passeggiando davanti all’Ariston, il bip bip dei macchinari delle sale di rianimazione. E l’ospedale c’è entrato veramente in questo Festival , un’auto con la Venier, Boldi e il capostruttura della FU RAI De Andreis ha investito una anziana signora che è stata portata in gran segreto all’Ospedale Borea, dove lavora il mio compagno che ho già sguinzagliato come mio agente all’Avana. Pare che l’arrivo della signora sia stato protetto con una segretezza degna di una influenza di Vladimir Putin, ma vi farò sapere le news (tutte le infermiere sono allertate).
E poi c’è l’orrido da sfogliare come un calendario. Pierluigi Diaco che scrive e dice la sua. Serena Autieri che si autodefinisce” sorpresa sexy” (anche lei, come la bulgara, arrivata per spinte sollecite, “amica, molto amica“ del direttore di turno, e poi censurano la povera D’Eusanio per la maglietta con la scritta “Dalla”; avanti, facciamo di Alda il nostro mito, nuova icona gay del marzo 2003).
E ancora il tapiro d’oro al sindaco, che si chiama Giovenale e può solo meritare un tapiro nella vita, non credete? Una lettera di un lettore, attento e meditativo, pubblicata dal giornale IL TEMPO e finita in rassegna stampa che dice testualmente “Il festival di San Remo merita maggiore rispetto”. Sui giornali locali fa molto figo e trendy sentire i locali (studenti, commercianti, casalinghe) e le loro opinioni (tutte entusiastiche) sul festival. Io allora, ho sentito Davide Lano, sanremese, attivista gay e commerciante che mi ha detto: ”Il festival sulla città ha un impatto più negativo che positivo. C’è gente che arriva qui pensando di trovarsi in un incrocio fra Miami Beach e Montecarlo, e, naturalmente, appena arriva rimane a dir poco allibita. Di solito ci si aspettano ricadute nel periodo successivo, ma spesso sono state solo “cadute”. L’unica cosa seria da fare sarebbe rendere finalmente e stabilmente San Remo capitale del frivolo e istituire un centro permanente di produzione televisiva invece tutto rimane episodico. Come gay e come cittadino sono convinto che Baudo, fin dall’inizio volesse presentare anche il Dopofestival, e ho trovato la polemica verso Sgarbi e i suoi ospiti veramente anacronistica. Sono felice se ci sarà una marcia gay gli ultimi giorni, servirà a far uscire dal circolo vizioso terribile e autoreferenziale che questo evento porta sempre con sé. Sono convinto che un media gay faccia bene ad essere presente, trattando il tutto con una certa leggerezza e distacco, evidenziando le contraddizioni e i deliri, le cose malsane e le follie.” (contateci!!!)

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Naturalmente Andrea Bocelli, durante la conferenza stampa in cui faceva da padre nobile ad alcuni gruppi di sconosciuti ha detto cose diverse, ad esempio che “dobbiamo essere orgogliosi del festival di San Remo e difenderlo”.
Ho seguito ancora assonnata quello che blaterava (lui che da San Remo ha conquistato il mondo, secondo qualcuno) nella nuova sala stampa che non è più la tenda da beduini vicino al Teatro del Mare ma è un luogo quasi stabile e quasi confortevole dietro la passerella dei cantanti, davanti all’Ariston. Non amo gli editorialisti de IL GIORNALE ma Pietrangelo Buttafuoco in “Granita alla siciliana” parla de ”I cretini e le bandierine di San Remo” criticando, implicitamente, Luca Barbarossa che ha fatto la passerella avvolto nella bandiera della pace. Dice Buttafuoco: “non si dovrebbe mai vedere questo benedetto primo cretino che porta la bandiera della pace”. E non ha tutti i torti. Io la bandiera l’ho esposta da tempo dalla mia terrazza, in tempi non sospetti suscitando bisbigli e maldicenze fra i vicini (la bolognese, la comunista) ma fino a pochissimo tempo fa non ce n’erano che poche, sparute e solitarie, mentre nelle grandi città già si trovavano quasi in ogni balcone. Adesso, pullula di bandiere la cittadella festivaliera, le vendono tabaccai e “vu’ cumprà” e anche quei vessilli colorati in cui io credo molto, in questa orgia del nulla perdono significato, diventano uguali alle ragazze vestite di giallo che distribuiscono vicino alla passerella volantini pubblicitari del conto corrente della zucca o della compagnia di telefonini. Tutto, maciullato dal Baudismo, dalla “business- libidine” dei politici locali, tutto deglutito e vomitato che alla fine risulta nullo e depredato del suo significato. Macchie di colore sparse. Business sulla pace, conto corrente arcobaleno e bandiere-zucca, la trans cattivo esempio e la bulgara simbolo, Baudo e Ricciarelli coppia d’oro, la guerra sullo sfondo che si spera non scompagini il palinsesto. E non è che la vigilia.

di Francesca Mazzucato – da Sanremo

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