Sirwan e Karwan sono due ragazze transgender di origine curda sono scappate via dall’Iraq per cercare asilo nella (civilissima?) Svezia. Ma rischiano di essere rimpatriate nel paese d’origine, atto che le condannerebbe quasi certamente a una vita di sofferenze, se non alla morte.
Sirwan scappa dall’Iraq nel 2012. Viene spinta dalla madre a fuggire, poiché per una ragazza nata maschio non è più sicuro vivere a Arbil, città curda dell’Iraq. Lo stesso padre la minaccia di morte, dopo essere stata fermata dalla polizia per essere vestita in modo troppo “femminile” e costretta ad ammettere di aver avuto un rapporto con un uomo turco. Inoltre, ha alle spalle una storia di stupro di gruppo nato da un rapimento e di reiterate violenze e molestie da parte di uomini sconosciuti che, semplicemente, la costringono ad entrare nelle proprie auto mentre cammina per strada per poi poterla violentare.
Anche Karwan è dovuta fuggire dalla propria famiglia di Arbil. Dopo aver partecipato ad un talent show in abiti femminili, la propria famiglia l’ha scoperta e ha raggiunto lo studio televisivo della trasmissione, minacciando di dare fuoco al locale pur di evitare una nuova esibizione della figlia. Per la vergogna di avere una figlia transgender, la famiglia minaccia di ucciderla, oltre ad accusarla della morte della propria madre, mancata per un malore in quel periodo. Karwan fugge a Sulaymaniyah restando nascosta per tre mesi, per poi affrontare il viaggio fino in Turchia. Una volta arrivata in terra turca, la famiglia la contatto di nuovo, rassicurandola: questa volta non era previsto venisse uccisa, ma solo mutilata di lingua e orecchie.
Le due ragazze transgender, 22 e 23 anni, si incontrano in Turchia, dopo aver passato momenti duri come ogni migrante che tenti di raggiungere un paese europeo. Dalla loro sistemazione su una panchina di un parcheggio, decidono di partire insieme per la Svezia a settembre 2015.
Incontrano uno scafista che chiede loro 1.500€ per arrivare illegalmente in Grecia. S’imbarcano e la loro barca naufraga. Mentre si spingono in mare con le poche forze rimaste verso la costa vedono morire annegati quattro bambini.
Le due ragazze fanno richiesta di asilo politico per motivi umanitari una volta arrivate in Svezia. La richiesta rischia di essere rifiutata, poiché le autorità europee – e, di conseguenza, quelle svedesi – hanno giudicato il nord dell’Iraq come una zona sicura, dunque dalla quale non è automatico dover raccogliere domande di asilo. Intervistate da theLocal.se, le due giovani hanno dichiarato che per loro sarebbe molto pericoloso rientrare nel proprio paese d’origine, a fronte delle minacce di morte e violenza arrivate dalle famiglie.
Questo caso specifico mette in evidenza la comunanza delle istanze di lotta e la effimera divisione che la nostra società occidentale fa tra condizioni differenti: se si parla di persone LGBTI, non si pensa ai migranti; se si parla di lavoro, non si pensa al diritto alla salute, per citare due esempi. La recente mobilitazione alimentata dal dibattito attorno all’insufficiente ed escludente legge Cirinnà ci deve insegnare come le persone in quanto tali devono essere rispettate, aiutate se in difficoltà e considerate alla pari di noi, qualsiasi condizione stiano vivendo. Ci deve insegnare che da soli non si ottiene nulla, che bisogna avere l’appoggio di altre persone che hanno fatto un percorso – individuale o collettivo – di autocoscienza e, a ruoli inversi, non bisogna esimersi dal coinvolgersi in prima persona nelle lotte degli altri.
Le due ragazze transgender curde ci stanno lanciando un monito: non pensate di essere al sicuro, di essere migliori, di essere fortunati, non accomodatevi sui vostri risultati. Basta un nulla per divenire gli ultimi tra gli ultimi, la lotta non è finita. Non abbandonateci e non abbandonate i migranti, usate gli strumenti dei vostri paesi per salvarci. E, in ultimo, anche i perseguitati – i curdi iracheni – non sono immuni dalla crudeltà: la divisione delle lotte genera problemi trasversali.
fonte: theLocal.se
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Ma la legislazione UE non prevede un percorso diverso per chi richiede asilo per motivi legati a sessualità/identità di genere? Se ben ricordo non riguarda la "sicurezza" intesa come assenza di conflitti armati ma la persecuzione, più o meno esplicita, delle persone LGBTQI.
Se non erro dovrebbe, ma ci sono casi di persone respinte, per esempio alcuni omosessuali maschi sono stati rispediti nei loro paesi d'origine perché non effeminati con la giustificazione che, secondo chi ha respinto la loro richiesta, possono tranquillamente camuffare il loro orientamento sessuale.