Corpi (gay) da cover. E i nostri?

Le riviste sono piene di corpi perfetti, ma al contrario degli etero i gay si abbandonano a una ridda di brividi: dall'eccitazione, all'invidia fino alla speranza che li sommerga una pioggia di grasso

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Mondadori di via del Corso ha una sezione dedicata alle riviste straniere talmente fornita da avere persino uno scaffale consacrato alle riviste omoricchione. Allineate una accanto all’altra, nei loro pigiamini di cellophane ci sono le mie preferite: Attitude, PREF e Out. Il fatto che siano riviste già costose in patria fa sì che l’importazione le renda care quanto incunaboli del XI secolo ma, nonostante questo, non resisto all’impulso di comprarle ogni mese.

Ora non che voglia darmi arie da lettore interessato alle pubblicazioni internazionali, a malapena leggo l’oroscopo su Vanity Fair figuriamoci se mi vado a ingarbugliare con articoli scritti per giunta in inglese o francese. Li compro perché sono riviste che, oltre alle sezioni di politica, arredamento e spettacolo hanno sempre un immancabile servizio fotografico di 25 pagine minimo dedicate alla moda, solitamente underwear o costumi da bagno. Anche a dicembre. Del resto si sa, i gay viaggiano e quindi per quella fetta di pubblico che adora passare il Capodanno disteso sulle spiagge dell’Australia diventa fondamentale pubblicare dei suggerimenti sul costume più adatto a proteggere il sacro pacco dai malefici raggi UVA. Insomma alla fine è come avere tra le mani una rivista pornografica ma nella quale la presenza di articoli veri e propri para il vento al mio atavico perbenismo.

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Questi reportage sono tutto un susseguirsi di corpi levigati da decenni di palestra, chili di proteine solubili tracannati con l’imbuto e qualche ora di photoshop estremo. Negli anni mi sono accorto però che questi corpi speciali non vengono impiegati solo nei servizi di moda ma anche nelle pubblicità della vodka, in quelle delle crociere ai Carabi e persino nelle assicurazioni sulla vita. Anche qui ci sono cascate di addominali, capelli cesellati a suon di forbici e sorrisi candeggiati da chilometri di White Strips. Bang, bang, bang! Ad ogni pagina un colpo alle coronarie e una scossa tra le gambe. E la cupidigia inizia subdolamente a lasciare spazio ad un altro sentimento: l’invidia. Inutile illudersi neppure per un secondo, questi sono sicuramente un’altra razza e se ci facessero uno screening dei nostri DNA probabilmente scoprirebbero di avere più geni in comune con una gerbera che con me. Inizio quindi a sospettare che pubblicazioni come queste instillino deliberatamente nei lettori un crescente senso di inadeguatezza portando a credere che sia quello l’aspetto da avere, la normalità, lo standard da raggiungere ed esattamente come per le riviste femminili (in combutta con la cultura televisiva, cinematografica e della moda) se non porti la 36, hai le tette progettate da Monsieur de Mongolfier e i tratti del viso parcheggiati non più in là di un metro dalla pubertà, ti senti una cacca.

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Per i maschi etero invece mi sembra che la cosa sia molto diversa. Se un uomo compra Men’s Health (uno dei pochi mensili per uomini ad avere una rotazione di boni da copertina che trova un corrispettivo solo in Playboy), non sta tanto lì a fare paragoni. Semmai prova per 10 minuti a seguire la tabella alimentare strillata in copertina che ti promette "un addome in titanio in 5 giorni" per poi lanciarlo nel cesto delle riviste in bagno. Le donne, al contrario, provano per le cover girl delle riviste un misto di ammirazione/paragone/invidia/augurio-che-possano-diventare-brutte-e-obese-all’-improvviso. Noi gay, abbiamo invece la rara fortuna di unire in una due diverse reazioni: davanti ad un bono da copertina vorremmo contemporaneamente essere come lui ma anche farcelo, in più, in fondo al nostro cuore ci piacerebbe pure che avesse qualche rara malattia genetica degenerativa che possa sfigurare il suo corpo statuario e il suo viso paradisiaco al sopraggiungere dei 30 anni.

Insomma mi sembra che anche nel mondo gay stia dilagando sempre più una cultura dell’immagine sclerotica, stereotipata.

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Del resto è cosa ormai assodata che i cliché estetici occidentali stanno gettando milioni di donne nel baratro dell’anoressia e dei travasi di botox e mi pare che una cosa molto simile stia colpendo anche la comunità gay, soprattutto all’estero. Un mainstream estetico dove alla fine il raggiungimento di esso ottenuto con sforzi inumani e evidenti supporti ormonali non fa altro che appiattirci tutti diventando totalmente indistinguibili l’uno con l’altro, al pari delle musulmane coperte dalla testa ai piedi da anonimi burqua. È facile a questo punto controbattere dicendo che sono influenze che agiscono solo sulle personalità deboli, che la vera bellezza è quella dentro di noi e che la coca cola è buona ma nulla rinfresca più di un bel bicchiere d’acqua gelata. Se la cultura in cui siamo inzuppati ci mitraglia con pallottole caricate a boni, tirarsene fuori e reimpostare la bussola verso altri valori è il doppio più difficile.

Tornando a me, una soluzione potrebbe certo essere smettere di comprare quelle riviste, dirottando verso le più confortanti "Case e Casali" o "La pesca della trota", ma tanto ci sono agguati ovunque e se non sono i giornali ci si mettono i go-go boy nei locali, se non quelli allora è il turno dei corpi esplosivi dei flyer dei locali e se continuiamo così ho il vago sospetto che tra poco ci ritroveremo piogge di boni anche sul giornalino delle offerte del mese della Lidl accanto al tosaerba elettrico a 39,90 Euro.

di Insy Loan ad alcuni meglio noto come Alessandro Michetti

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