È il primo telefilm che osa presentare nudi integrali maschili e femminili, scene di violenza e di sesso e contenuti ad alto tasso di realismo per rappresentare il mondo degli antichi romani. Rome, la megaproduzione dell’americana Hbo (I Soprano, Sex and the City…), dell’inglese Bbc e della nostra Rai, costata ben 100 milioni di dollari, ha dimostrato che le scelte coraggiose possono essere vincenti: la serie ha già ricevuto due nomination ai prossimi Golden Globes e soprattutto ha definitivamente conquistato pubblico e critica statunitensi e britannici.
Un’ottima idea moderna ed accattivante, quella alla base del telefilm, che sfata diversi miti sull’antica Roma riproducendo vicende ed abitudini di quel lontano mondo che si erano perse nelle classiche produzioni hollywoodiane, tanto affascinanti e ricche quanto false.
Ottimi attori ed un illustre consulente storico hanno dato vita a questa realistica serie televisiva, riuscendo ad affrontare scene di violenza e di sesso che non hanno scandalizzato né negli Stati Uniti né in Gran Bretagna, dove il dramma epico è già andato in onda e dove si sta già organizzando una seconda stagione.
Ma mentre in quei paesi Rome è già al centro di dibattiti anche colti e gareggia per importanti premi, da noi la Rai dice solo che ha intenzione di mandarlo in onda nella prossima primavera. Perché questo ritardo? Pare che dipenda da qualche intervento che proprio la Rai vuole fare per migliorare ancora il prodotto: un intervento chiamato censura. Togliere qualche scena di lotta cruenta, qualche altra di amore fisico, alcune scritte poco edificanti che antichi graffitari dipingevano sulle mura della Città eterna. E certamente togliere gran parte dei riferimenti ai rapporti omosessuali che facevano parte della vita comune ai tempi di Cesare e Pompeo.
Secondo il Times, un funzionario della Rai ha spiegato: «Sapevamo fin dall’inizio che chi stava realizzando Rome aveva un concetto dell’Antica Roma diverso dal nostro: se avessimo dovuto trasmettere la versione andata in onda in Gran Bretagna o in America sarebbe stata incomprensibile per gli italiani».
C’è da chiedersi perché investire tanti soldi in un progetto che si è già dimostrato vincente per poi doverne investire degli altri per appiattirlo.
Si ha l’impressione che il livello delle fiction Rai debba sempre essere tarato su serie italianissime come “Don Matteo”. Sembra che creare sinergie innovative e poi impoverire il prodotto che ne viene fuori sia il marchio di qualità Rai.
Ecco, la censura come tipico gusto italiano in grado di affascinare il pubblico di casa nostra. E solo quello, perché negli Stati Uniti tutto è andato in onda mentre in Gran Bretagna qualche taglio (niente di paragonabile a quelli che ci aspettano) ha fatto nascere polemiche non ancora sopite.
La Rai e la censura: un rapporto antico e duraturo che si intreccia con la politica e la Chiesa e che colpisce sempre di più tutto ciò che riguarda il sesso e l’omosessualità, anche quando non sono gratuiti ma servono a portare avanti la storia e a dare un’immagine veritiera di un tempo così lontano che sembra essere stato secolarizzato e colorato politicamente.
Insomma, come difendere il pubblico di casa nostra da “scritte oscene” come quella di “Caesar fellator“? Probabilmente tagliando le scene dove appare e con esse la nostra libertà di scelta, rendendoci diversi, chissà perché, dagli spettatori americani e britannici.
Ma la Rai farebbe bene a ricordare che già negli anni settanta, negli Stati Uniti, contro forti censure verso un celebre film sull’arte della fellatio (Gola profonda) partì una protesta popolare che dette vita alla rivoluzione sessuale di quegli anni ed in una situazione del genere ben pochi starebbero in casa, sul divano, a vedersi “Don Matteo”.
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di Andrea Bartuccio
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