Il “gentil sesso” non si può arrabbiare: obbligo patriarcale o predisposizione genetica?

Le donne devono essere gentili, belle, pazienti, empatiche, affabili per occuparsi del lavoro emozionale, demandato loro da secoli. Ma siamo davvero geneticamente portate a questo?

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Gentil sesso è “in base a un uso idiomatico diffuso, quello femminile. L’aggettivo gentile significava, nel passato, oltre che amabile e garbato, anche fine, delicato” spiega il sito Parlare Civile, che continua: “l’espressione non contiene normalmente un intento di diminuzione sociale, tutt’al più esprime il riconoscimento positivo di doti di raffinatezza e armonia fisica. Tuttavia, l’effetto che produce è quello di rinforzare, attraverso il linguaggio, gli stereotipi connessi ai modelli di femminilità tradizionali, che contemplano tanto virtù morali quanto estetiche”. La Treccani è solitamente più affidabile nelle definizioni: “- gentil sesso [modo tradizionale, oggi poco accettato, di designare globalmente il sesso femminile] ≈ (scherz.) bel sesso, (scherz.) sesso debole”. Dove “scherz.” vuol dire proprio quello che state pensando: “scherzando”. Che risate eh!

Eleonora Mauri su Lei Donna ha descritto il segreto, rivolto alle donne, per imparare a non arrabbiarsi più: “Ogni volta che senti che ti stai arrabbiando, pensa: tra una settimana/un mese/un anno, quanto sarà ancora importante questa cosa per me?” è il primo dei suggerimenti, mentre nei casi in cui si tratta di un’ “arrabbiatura sociale”, data da “persone che ti spintonano sui mezzi pubblici, che ti tirano spallate passando in mezzo alla folla” o che ti trattano da segretaria sul lavoro anche se avete lo stesso incarico, aggiungeremmo, il consiglio è sempre lo stesso: pensa che sono cose di poco conto e risparmiati l’arrabbiatura, gentil sesso. Sennò poi diventi brutta.

Così, per la Mauri, che si definisce “studiosa da tempo delle tematiche di crescita e miglioramento personale” e dedica i suoi primi scritti al mondo femminile, dovremmo rimanere sempre donne carine e gentili con il prossimo, senza scadere in quelle brutte reazioni, così antiestetiche e poco graziose, che tanto mal si addicono al nostro gentil sesso. Ma la Mauri non è controtendenza, l’intero sistema è d’accordo con lei e ci dice quotidianamente di stare calme e non ribellarci.

Soft Revolution ha affrontato di recente un tema molto interessante: il lavoro emozionale. Partendo da Jane Eyre, romanzo di Charlotte Brönte del 1847, Martina Ioriatti racconta come da secoli le donne debbano “attenersi a determinati parametri di piacevolezza e mansuetudine per essere socialmente accettate”. E come, soprattutto, questa realtà persista ancora oggi.

Vi è mai capitato di arrabbiarvi alzando la voce e che vi ricordassero che “non è carino per una donna”? O che magari vi mancava un po’ di sesso (con un uomo, per antonomasia)? O che forse avevate le “vostre cose” o dei problemi personali irrisolti che stavate scaricando sul prossimo?

 

Nel mondo del lavoro, secondo una ricerca di Jennifer Berdahl e Natalya Alonso, professoresse presso la Sauder School of Business della British Columbia, un numero sproporzionato di rettrici di università sono bionde. Si legge su Inc, infatti, che le donne che ambiscono a posizioni di dirigenza si fanno bionde. E visto che negli USA soltanto il 5% della popolazione è bionda naturale, mentre il 35% delle senatrici lo è, sono parecchie le senatrici che si sono tinte. Sarà forse che viviamo in una società che costantemente ci dice che le donne bionde sono più attraenti e amichevoli, ma meno intelligenti o competenti delle altre?

Un sondaggio di Healthspan, azienda d’integratori alimentari, ha rilevato che una donna su tre ammette di essere molto instabile, di sentirsi “peggiorare” con l’avanzare dell’età e di arrabbiarsi di più. Le dieci ragioni per cui le donne si permetterebbero di arrabbiarsi in media dieci giorni all’anno sono:

1- Non essere soddisfatta del proprio peso.
2- Non sentirsi ascoltata dal partner.
3- Cattivo tempo.
4- Computer, telefoni e tablet che si bloccano.
5- Avere troppe cose da fare e non avere nessun aiuto.
6- Non trovare nell’armadio nulla di nuovo da indossare.
7- Sentirsi sottostimata.
8- La sensazione di avere una vita “noiosa”, priva di stimoli.
9- Essere sommersa dalle faccende di casa.
10- Non essere ascoltata dai propri figli.

Mentre le risposte si commentano da sole con l’aiuto del grassetto, la Ioriatti continua:

Perché le donne dovrebbero essere più brave degli uomini quando si tratta di percepire ed esprimere emozioni? Siamo davvero geneticamente predisposte a vincere in professioni ad alto tasso di lavoro emozionale, grazie alla nostra “naturale” abilità emotiva? Si tratta sul serio di essere speciali, o forse di aver “beneficiato” di un training forzato secolare che ci fa eccellere nel ruolo di professioniste delle emozioni?

 

In vari sondaggi di ricerche universitarie, le donne dichiarano di percepire più emozioni degli uomini. Nei contesti pubblici le donne esprimono con il linguaggio del corpo più emozioni, perché incoraggiate da regole sociali a essere visivamente più espressive degli uomini. Il punto è che in questo senso esiste una grande pressione sociale, che spinge le donne a controllare e gestire emozioni negative come la rabbia e la tristezza.

Da qui un circolo vizioso dal quale non è facile uscire: il lavoro emozionale è demandato alle donne a partire dalla “casa”, perciò da secoli queste risultano più portate a usare maggiore empatia e controllare i propri sentimenti, per mostrarne di congrui con lo stato emotivo richiesto da una professione o da un dato contesto sociale. Di conseguenza, se alle donne continuerà a esser richiesto questo self control, saranno di nuovo loro le più adatte a occuparsi della “cura” e dei compiti emozionali, non solo a lavoro, dove questi sono parzialmente riconosciuti, ma a casa dove non lo sono affatto, come dimostrano le dieci ragioni sopra elencate. Oltre a crescere, dall’altra parte, uomini poco capaci o del tutto incapaci di gestire le emozioni, che diventano più facilmente violenti e minacciosi nei confronti delle donne gentil sesso, che per questo non di rado muoiono ammazzate. Mentre agli uni, spettano infarti, dipendenze, suicidi e depressioni, per incapacità di gestire e comunicare le proprie emozioni. Insomma un futuro affatto augurabile!

Si consiglia, se interessat* al tema del lavoro emozionale, di proseguire con la lettura dell’articolo di Martina Ioratti che scende ancor meglio nello specifico.

In copertina: foto di Erwin Olaf

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Valium 7.10.16 - 9:41

Sarà perché considero le donne come miei pari, ma non noto alcuna differenza fra i due generi. Quindi secondo me né "patriarcato" né genetica, solo stereotipi.

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