L’estate è la stagione più epidermica, quella i cui ricordi sono più di ogni altra associati alle nostre esperienze “a pelle” – l’acqua che si asciuga al sole, il vento fra i capelli – la stagione in cui la luce assume, più che in ogni altro momento dell’anno, contorni organici, una qualità fisica, tattile, sensibile: calore, chiarore, benessere, quiete.
A venticinque anni dalla mostra curata nel 1979 da Germano Celant al PAC di Milano, Le Consortium di Digione ospiterà per tutta l’estate una mostra dedicata a Francesco Lo Savio (Roma, 1935 – Marsiglia, 1963), organizzata dal Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato sotto la direzione di Daniel Soutif e curata da Bruno Corà.
Il “formato” della mostra retrospettiva si rivela particolarmente pertinente nell’allineare le intuizioni e gli esperimenti di una ricerca artistica concentrata nel giro di pochissimi anni, dal 1959 al 1963, e configurata come l’approfondimento progressivo di una sola idea, l’avvicinamento a un punto d’orizzonte posto lungo una prospettiva “ideale”. Quasi a sottolineare la logica coerenza e, insieme, la tensione contraddittoria implicate in questo percorso di ricerca, Lo Savio intitolò il solo libro che ha scritto, dedicato all’artista olandese Piet Mondrian, Spazio – Luce: evoluzione di un’idea (Roma, 1962).
L’evoluzione di questa “idea” coincide con quella breve stagione dell’arte italiana posta fra gli ultimi esiti dell’informale e gli accenni a un minimalismo mai veramente affermatosi nel nostro pease: proprio fra il 1959 e il 1960 escono i due numeri della rivista “Azimuth”, di cui sono animatori Piero Manzoni e Enrico Castellani, che incarna questa “nuova concezione artistica”, un’oggettività fisica tanto quanto mentale basata sulla relazione fra l’opera e la sua esperienza sensibile, fra il corporeo e lo scatto fantastico.
In questo contesto Lo Savio realizza immagini mentali e fenomeniche alle quali non può essere applicata alcuna logica puramente funzionale, ma che non appartengono nemmeno al dominio della pura immaginazione: i Filtri (1959-60), in cui la sovrapposizione di carte traslucide unisce, nel flusso tridimensionale della luce che le attraversa, le forme inscritte di cerchio e quadrato; la versione dello stesso principio, che da retinica si fa atmosferica, ottenuta con le tele Spazio-Luce (1960, foto sopra);
la concretizzazione di un principio scultoreo oculare, ottenuto modellando le superfici nero-opache dei Metalli (1960, foto) in modo tale che sia l’occhio dell’osservatore a percepire, attraverso il loro flettersi e incurvarsi, l’articolazione dello spazio-luce circostante. Attraverso le architetture modulari delle Articolazioni totali (1962, foto in fondo) la conquista di uno spazio abitato dalla luce, di uno spazio-luce “abitabile”, conferisce alla dimensione progettuale un potenziale utopico, l’indicazione di un design che sincretizza fra loro piani, superfici, colori, materie, soggetti ed oggetti in un’articolazione di reciprocità e convivenze.
Gli esiti di questa ricerca sembrano, più che lasciati incompiuti, sfumare e irradiarsi nella coincidenza fra l’ultimo progetto dell’artista, gli studi per l’unità di abitazione La Maison au Soleil (1962, foto accanto al titolo), e il suicidio, compiuto a vent’otto anni nella Cité Radieuse, l’unità per abitazioni progettata da Le Corbusier a Marsiglia. Opponendosi a ogni semplificazione della rivoluzione “modernista” come al rigore della regola che caratterizzerà il Minimalismo, in particolare quello americano, per Lo Savio la luce e lo spazio, così come il cerchio e il quadrato, la percezione e il calcolo, l’ arte e la scienza, l’ opera e la mostra, il singolo e la società vanno intesi quali elementi non più oppositivi ma simmetrici, la cui articolazione formale ci immerge nell’esperienza di una complessità sensibile.
Didascalie immagini
accanto al titolo:
Maison au soleil II
1962
Cartoncino, plexiglass, sabbia / Cardboard, plexiglass, sand
9 x 23 x 26 cm
Galleria Christian Stein, Milano
foto 1:
Spazio Luce
1959
Resine sintetiche su tela
121 x 101 cm
Collezione Giorgio Franchetti, Roma
foto 2:
Metallo nero opaco uniforme
1960
Lastra di metallo, vernice nera
Collezione privata, Londra
Allestimento della mostra al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato
Foto: Luca Ficini
foto 3:
Articolazione totale
1962
Cemento, lastra di metallo, vernice nera / Cement, sheet-metal, varnished black
100 x 100 x 100 cm
Collezione Prada
Allestimento della mostra al Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato
Foto: Luca Ficini
di Andrea Viliani
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