Uno strano film che parte gay ma diventa universale e un esercizio di stile bisex hanno inaugurato il concorso di Venezia 61. Il bel ‘Delivery‘ di Nikos Panayotopoulos è un bizzarro dramma poverista su un bel tipo bruno, villoso, senza nome, silenzioso, narcolettico e con un pene enorme (così dicono ma non si vede mai) che inizia una curiosa odissea arrivando ad Atene in pullman dove scopre una città scombinata in cui gli addetti al traffico sputano addosso alla gente. Appena va al bagno della stazione un tipo lo guarda con concupiscenza ed esclama: “Ma che minchia è?”, tutti lo credono gay e lo osservano con brama amorosa ma lui cerca un lavoro. Incontra un tipo che assomiglia vagamente a Godard che vende bottiglie d’acqua e gli dice “tu non sei un finocchio, sei un broccolo!”, ne diventa amico e va a vivere a casa sua. Trova lavoro in una bizzarra pizzeria che si chiama ‘Exodos’ (ma al telefono rispondono ‘Vesuvio’) e inizia a fare il pizza boy.
Quando incontra una bella ragazza che sembra Drea De Matteo (Alexia Katsiki) si innamora e insieme a lei scopre una discoteca dove c’è la fauna più strana (etero, gay, donne che sembrano uomini e viceversa) e ci sono fontane che improvvisamente spillano acqua. In una scena i due fanno l’amore su una panchina ma lei cade in catalessi e gli rivela di far uso di una strana droga. In un’altra, speculare, due anziani seduti davanti a una chiesa si chiedono: “Ti piace la vita?” “La vita sì. La mia no.” Improvvisamente vede due gay che si amano, poi altri due che sembra vogliano abbordarlo ma gli fregano il motorino. E’ fatta. Finirà sulla strada e diventerà un killer credendosi una specie di Messia.
Con un buon ritmo e un tocco d’autore alla Andersson potrebbe intrigare la giuria ma ha il difetto di cedere il passo al giudizio dopo una prima parte molto ironica. «Riguardo all’omosessualità dei personaggi bisogna ricordarsi che la Grecia è un paese di poeti. E’ un film lirico ma anche sociologico. Parla di diversità ma soprattutto di Atene e della sua periferia anche se l’ispirazione è bressoniana. C’è del mistero in ‘Delivery’. Comunque quel che amo in un film è non capire del tutto il suo senso. Il mio straniero è un paradigma ma anche un angelo o un profeta senza passato. La città è la protagonista del film. Riguardo alla questione immigrazione se arriva uno da fuori vuol dire che è l’Europa che viene a casa mia». Senza scomodare Pasolini (sarebbe un sacrilegio) è innegabile che il suo eroe senza nome ricordi l’Enrique Irazoqui di ‘Il vangelo secondo Matteo‘ più del suo attore, Thanos Samaras, che ora ha i capelli rasati e un aspetto più pulito, e ha ammesso «Nel film non sorrido, ma generalmente lo faccio, e molto». Insomma: cantami o pigro del peloso killer.
5/6 invece a 5 x 2 di François Ozon che tenta un esperimento formale curioso (tra Noé, i tradimenti di Pinter – Jones e uno Schnitzler concatenato invece che circolare) raccontando la storia d’amore di una coppia borghese a rovescio, partendo dall’appuntamento coll’avvocato per la separazione e finendo col primo bagno insieme. Ogni tappa d’amore è accompagnata da una canzone italiana d’epoca, da ‘Una lacrima sul viso’ a ‘Vedrai vedrai’ e ‘Sapore di sale’. Il risultato scricchiola. Funziona di più la prima parte, con una scena molto bella (Valeria Bruni Tedeschi che osserva il suo bambino nato prematuro mentre lui sembra avvertire la presenza della madre) e una ambigua in cui i due invitano una coppia gay a cena e suggeriscono idee sull’amore di gruppo e sulla seduzione degli sguardi.
Poi il film s’inceppa: lui ha un’altra fidanzata con cui va in un villaggio vacanze italiano del sud (il volgare animatore lo piglia in giro scheccando e coinvolgendolo in un gioco idiota, gli italiani sono stereotipati come rozzi e burini) e a quel punto 5 x 2 vira verso la commedia convenzionale. La scena del tradimento/violenza è criptica e lasciata alla libera interpretazione dello spettatore: l’idea è che manchi una scena che non è stata montata. «Mi interessava che i due personaggi gay portassero avanti un discorso più che la loro sessualità. Ovviamente è possibile trovare un legame tra gli omosessuali del mio film e il PACS francese ma riguarda più la difficoltà del vivere in coppia in un senso più generale» ha dichiarato Ozon, dal viso molto bello, vagamente triangolare, che ricorda l’espressività di Amélie Poulain. «E’ una questione sulla vita a due: ogni coppia è invidiabile. Bisogna chiedersi: chi è più felice? Tutti la cercano in modo uguale. Il mio film tratta di melanconia, ironia e tenerezza». Cioè: fiducia o fedeltà?
Valeria Bruni-Tedeschi, bella e col fascino protettivo delle madri, sostiene di «aver lavorato sui gesti, gli sguardi, le parole. Essere femminile e lavorare sulla femminilità e l’armonia interiore».
Un bel thriller spettacolare è passato fuori concorso, ‘The Manchurian Candidate‘ di Jonathan Demme su un alto tradimento, quello di una potente senatrice, Eleanor Shaw, interpretata magistralmente da una Meryl Streep superispirata, che pur di far diventare il figlio vicepresidente degli Stati Uniti organizza un diabolico complotto che è semplicemente una strategia psicologica sfruttatrice di un trauma subito dal figlio durante la guerra in Kuwait. La tremenda magiara, glaciale come un iceberg elettronico, tratta tutti come pedine da sistemare in un ideale bersaglio contro cui sparare. Basterà una chiamata di mamma per accendere la miccia. Tra ‘Allucinazione perversa’ di Adrian Lyne e ‘La conversazione’ di Coppola, un potente atto d’accusa contro le trame del potere con squarci ipnotici su una guerra fotografata con un rosso carminio che fa sembrare il Medio Oriente un pianeta da conquistare.
Si è anche visto John Travolta, protagonista di ‘A Love Song for Bobby Long‘ di Shainee Gabel, dramma su un ex professore di letteratura che si insedia in una casa abbandonata. In forma brillante e con aria divertita, ha dichiarato in conferenza stampa che gli piace lavorare molto. «Come attore, però. Produrre e dirigere è un mestiere duro».
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