Marco Mancassola ha 27 anni. Vive e lavora a Padova, dove studia Filosofia. Il suo primo libro, Il mondo senza di me ("il tipico romanzo di formazione", dice) è un piccolo caso letterario: pubblicato da una casa editrice di nicchia, la peQuod, in un numero ristretto di copie, ha riscosso subito un enorme successo, e si appresta a diventare un vero e proprio cult-book.
Quando hai cominciato a scrivere?
Dipende da quello che intendi per scrivere: ho sempre scritto, fin da quando ero bambino. Ma se intendi quando ho deciso di farlo in maniera consapevole, cercando di dar voce alla coscienza attraverso la scrittura, allora direi intorno ai quindici anni.
Il tuo esordio letterario?
E’ stata la pubblicazione di due miei racconti in Coda, una raccolta curata da Silvia Ballestra e Giulio Mozzi per Transeuropa. Avevo già collaborato con Avvenimenti, scrivendo di libri e di cultura giovanile, e pubblicato qualcosa su Tina, una rivista telematica diretta da Matteo B. Bianchi. Ma è stato con Coda che ho provato per la prima volta tutte le sensazioni legate al "pubblicare": le presentazioni, le recensioni, i contatti con quello che generalmente si definisce ambiente letterario.
E com’é nato questo libro?
Mi era stato chiesto di scrivere un racconto che parlasse della città di Padova per un’antologia di prossima pubblicazione. Padova era l’unica indicazione, e da Padova sono partito: ho preso spunto dal cavalcavia accanto la stazione, il tipico cavalcavia cittadino, che scalavo ogni giorno in bicicletta. Lavorando a quest’episodio, però, mi sono accorto che la storia cresceva, si arricchiva di particolari e di frammenti, fino ad arrivare a superare i confini del racconto e a diventare un romanzo breve. Nel frattempo venni a sapere che l’antologia non si faceva più. Io avevo questo lavoro che, di fatto, sembrava un po’ incompleto. Così ho continuato a lavorarci. C’è voluto del tempo: la storia era piuttosto complessa, difficile da rendere nel modo giusto, e non sapevo ancora che seguito darle…
Ci sei riuscito, alla fine…
Si. Ho creato un romanzo diviso in due parti, legate tra loro dal fatto che il protagonista della seconda è già presente nella prima. E’ la storia di Ale, che affronta tutta una serie di situazioni dolorose percepite come abbandoni. Abbandoni in senso classico, di persone (la ragazza che ha appena conosciuto e di cui si innamora scompare senza un perché) o astratto (sua sorella lascia improvvisamente il marito: l’amore e la famiglia vanno in frantumi). Ma è anche la storia di Ettore, coinquilino di Ale, che troviamo in viaggio verso Amsterdam. In preda alla sofferenza a causa di una storia sentimentale finita male, Ettore decide di cambiare aria per un po’. Si è lasciato il lavoro e tutto il resto alle spalle per trovare sollievo in un’altra città, ma non sarà facile: là trova un amico ricoverato in ospedale e dovrà accudirlo. Se la prima storia è la presa diretta di questo processo di abbandono, la seconda è un po’ "il dopo" l’esser stato abbandonato. Meglio: è la reazione alla perdita di qualcuno che si ama, allo spezzarsi dei legami, appunto.
Quanto c’è di autobiografico, nel tuo libro?
Di sicuro c’è la crisi d’identità, di ruolo, nei confronti del mondo. Il mondo senza di me è la storia di qualcuno che non solo constata la possibilità di un mondo senza di sé, ma deve anche inventarsi un modo per ritornarci dentro. I due personaggi in termini emotivi sono due emarginati, spinti ai bordi da quei rapporti che vedono andare avanti nelle altre persone ma spezzarsi nelle loro vite. Così, da una parte scelgono un mondo "senza di me", nel senso che in certi momenti decidono di allontanarsene, di tirarsene fuori; dall’altra, però, non possono fare a meno di desiderarlo, di cercare di farne parte. Ecco, è in questa dialettica, fra il desiderio di rientrare e quello di starne fuori, che posso trovare il tratto più autobiografico.
Ci sono episodi reali, quindi, della tua vita?
Non ho raccontato episodi legati alla mia vita, né ho voluto essere retorico. Quello che c’è al centro del romanzo e che sprigiona il racconto é la volontà di rendere un certo sentire legato al vivere quotidiano, una mia particolare percezione del mondo e del mio starci dentro.
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