Perchè la pornografia gay in Italia non ha mai messo radici come quella etero? Partiamo da un dato di fatto: da noi gli omosessuali hanno preso coscienza di sé in ritardo rispetto ad altre nazioni. Nonostante intellettuali e militanti di spicco fin dalla fine degli anni 50, il grosso degli omosessuali italiani ha sempre preferito restare nell’ombra.
Quando negli USA degli anni 70 iniziò a prendere corpo l’adult entertaiment come lo intendiamo oggi, con film e riviste esplicite, questa differenza fra i gay italiani e quelli statunitensi è emersa prepotentemente: negli USA i gay non si facevano troppi problemi a richiedere e premiare prodotti che incontrassero i loro gusti, mentre in Italia i gay come li intendiamo oggi non esistevano nemmeno. Nell’opinione pubblica del nostro paese esistevano persone più o meno invertite (cioè effeminate), per cui il desiderio omosessuale era solo una conseguenza del loro essere femminili.
Gli omosessuali che non si identificavano in questi stereotipi (o che non ne erano attratti) non si consideravano nemmeno gay. Quando nel 1971 uscì nelle sale americane il primo hard gay (Boys in the Sand di Wakefield Poole) ebbe subito degli incassi da capogiro, ma da noi sarebbe stato semplicemente inconcepibile.
È un luogo comune che in Italia il porno gay si arrivato con le VHS di importazione alla fine degli anni 80, assieme a riviste come Gay Italia e tramite il circuito delle edicole, per poi tentare la via delle produzioni autoctone solo alla fine degli anni 90. In realtà non è andata esattamente così.
Quando il porno fu sdoganato (all’inzio degli anni 80) alcuni registi italiani tentarono la carta del sesso gay, inserendolo in film etero e lanciando anche alcuni attori specializzati in questo tipo di scene. Leonello Pettinato, ad esempio, era un ragazzo di origini siciliane che – dopo alcuni servizi fotografici per riviste criptogay (Os, Ov e Omo) – si è cimentato nelle prime scene hard gay mai viste in un porno italiano (nel film Pornovideo, realizzato nel 1981 da Therese Dunn). Un altro pioniere del porno gay italiano è stato Fernando Arcangeli, chiamato però per il ruolo del gay molto effemminato, tant’è che i suoi personaggi – spesso veri e propri travestiti – avevano nomi come "Cinzio", "Mimì" o "Gina la smandra". Diversa fu l’accoglienza del pubblico verso Pettinato e Arcangeli: laddove le performances del primo venivano accolte da fischi e insulti (tant’è che la sua carriera è stata molto breve), le comparse del secondo – in quanto caratterista comico – risultavano decisamente gradite (tant’è che lavorò tantissimo, fino al 1983). D’altra parte il pubblico di quei film era composto da etero, e se anche nelle sale ci fossero stati dei gay di certo non erano lì per commentare i film o far valere le proprie ragioni.
Più o meno è stato dopo questi primi tentativi, maldestri e improponibili, che il porno italiano ha preso le distanze dal mondo gay, mentre l’hard gay straniero iniziava la sua ascesa. Il dubbio è legittimo: in che misura questo affossamento è stato voluto? Ecco la brillante sintesi di Giuseppe Sbarra, un importante distributore del settore, raccolta nel saggio Moana e le altre (Gremese, 1997) quando gli veniva chiesto quali erano i generi più redditizzi: «Quello gay, anche se tutti gli operatori e i produttori italiani del video fanno i moralisti, tipo: a me piace la figa».
Linguaggio a parte, può essere interessante riflettere sul fatto che, ancora nel 2008, nel nostro paese il modo migliore per affermare il valore della propria eterosessualità resta quello di svalutare, allontanare, rimuovere e magari reprimere l’omosessualità altrui. E purtroppo il mondo del porno è solo l’ultimo degli ambienti in cui questo avviene.
di Valeriano Elfodiluce
Gay.it è anche su Whatsapp. Clicca qui per unirti alla community ed essere sempre aggiornato.