UN RANDAGIO PER AMICO

In Italia vengono abbandonati oltre 150mila animali ogni anno. Ma oggi perfino un intero quartiere può adottare un cane. E per regolare l'attività dei canili, ecco le norme che gli animalisti vogliono veder approvate per legge

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Se volete un cane, prendetelo al canile a voi più vicino. Ce ne sono anche di razza, e molti cuccioli. Ogni anno in Italia oltre 150 mila animali domestici vengono abbandonati. L’80% morirà in incidenti stradali, subirà maltrattamenti, morirà di stenti o rischierà di essere usato per l’addestramento di cani da combattimento; gli altri termineranno la loro esistenza in un canile. Per la prevenzione del randagismo e la tutela degli animali d’affezione, sono state approvate una legge nazionale e numerose leggi regionali che affidano alle amministrazioni comunali compiti di tutela degli animali e precise responsabilità nella prevenzione del randagismo. Ma gli animalisti denunciano: “Queste norme sono largamente disattese: le amministrazioni locali continuano ad affrontare il randagismo come emergenza elargendo denaro pubblico che spesso finisce solo per arricchire affaristi privati, senza alcun reale beneficio per gli animali”.

Il randagismo sarebbe diventato quindi un grande “business”: sarebbero molti i canili-lager nati da convenzioni tra società con fini di lucro, che prescindendo dalle condizioni di vita degli animali arrivano ad ammassare anche 2000 animali. Non meno rilevante il giro d’affari legato agli accalappiamenti di cani: molte Asl riceverebbero dai Comuni fino a 250mila lire a cane accalappiato. E’ un problema culturale: il randagismo viene bollato come crudele ma rischia di essere alimentato, ad esempio, da assurdi divieti: di portare i cani in spiaggia, sui mezzi pubblici, in alberghi e ristoranti. Così, anche mostre canine, spettacoli televisivi e spot pubblicitari posso essere irresistibili stimoli al possesso di alcune razze che diventano prima oggetto di desiderio e poi randagi (è accaduto negli Usa con i dalmata dopo “La carica dei 101” versione film; accade con i pit-bull dopo la legge che li condanna). Ricordarsi di iscrivere il proprio animale all’anagrafe canina e di effettuare il tatuaggio sono ancora oggi obblighi largamente evasi, sanzionati con ammende che vanno dalle 150 alle 600 mila lire a seconda delle normative regionali, su cui non esiste però alcuna forma di controllo. Considerata l’accresciuta propensione degli italiani ad ospitare nelle loro case animali domestici (secondo un sondaggio Eurispes sono oltre 43 milioni, più di 14 solo fra cani e gatti) appare irrinunciabile la proposta degli animalisti di inserirli nello stato di famiglia. La sistemazione dei randagi presso le famiglie, con diffuse campagne di adozione, resta un impegno prioritario. Anche l’istituzione del cane di quartiere costituisce un’innovativa ed interessante forma di adozione dei randagi: questa “figura” è prevista da alcune leggi regionali sulla prevenzione del randagismo, oppure può essere istituita dal Sindaco, primo responsabile secondo la legge del benessere di tutti gli animali presenti nel territorio comunale.

Il cane di quartiere è il cane adottato dagli abitanti della zona che provvedono alla cura dell’animale: viene condotto al canile sanitario per identificazione, tatuaggio, trattamenti profilattici obbligatori. Poi viene reimmesso nel quartiere di provenienza e affidato alle cure di un tutore. Si tratta di una soluzione che garantisce ai cani una vita libera e dignitosa e che per la collettività ha un costo decisamente inferiore alla detenzione a vita dei randagi nei canili. E proprio per quanto riguarda i canili e le colonie feline, ecco alcuni criteri che dovrebbero essere inderogabili per legge secondo le associazioni animaliste, che stanno tentando di fare approvare le relative norme:
1 – costituzione o risanamento di canili sanitari e rifugi, con funzioni di pronto soccorso 24 ore, e luoghi di degenza aperti all’aiuto della collettività;
2 – libero accesso, nei canili e nei rifugi da chiunque gestiti, ai rappresentanti delle Associazioni animaliste e protezioniste presenti sul territorio;
3 – limite inderogabile di 200 posti e spazio minimo di 20 metri quadri per cane;
4 – sostegno attivo alla gestione ed alla tutela delle colonie feline;
5 – campagne stabili di adozione, defiscalizzazione degli acquisti di mangimi e medicinali per chi adotta randagi, e l’istituzione del “cane di quartiere”;
6 – iscrizione di cani e gatti nello stato di famiglia e identificazione tramite “microchip”;
7 – divieto di gestione di canili sanitari e rifugi per società con fini di lucro, aggiudicazione di appalti di servizi che privilegino la qualità del servizio offerto rispetto al ribasso d’asta;
8 – preparazione del personale di canili e rifugi tramite corsi di formazione tenuti dalle Asl in collaborazione con le associazioni animaliste e protezioniste presenti sul territorio;

9- eutanasia praticabile solo in presenza di una doppia certificazione attestante l’incurabilità dell’animale, a cura di un veterinario pubblico e di uno privato; divieto di soppressione degli animali sulla base della loro supposta aggressività;
10- revisione delle modalità di vendita di sostanze velenose alfine di prevenire lo spargimento di bocconi mortali, divieto di allevamento e vendita di animali domestici.

di David Fiesoli

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