Dalle fogne fino al cielo stellato: intervista a Dolcenera

Il sogno, la musica, la solitudine, la libertà: abbiamo intervistato Dolcenera, che proprio in questo periodo è in tournée con "Anima Mundi", un recital musicale che è la sintesi di un’intera carriera.

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Dalle fogne fino al cielo stellato: intervista a Dolcenera - Matteo B Bianchi3 - Gay.it
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Dolcenera è un’anomalia. Un piccolo neo sulla pelle sbiancata della nostra industria musicale. È un segno sul muro, per dirlo con Woolf. Un segno obliquo, tra l’altro, una magnifica stortura. Lo è sempre stata: lo era già nel 2003 quando arriva a Sanremo Giovani da indipendente e poi lo vince con una major. Lo è anche oggi, che è tornata indipendente e scrive – e come scrive! – canta, suona e produce. Lo è anche quando parla e quando pensa, perché parla dopo aver pensato ed elabora pensieri solo dopo aver studiato. Nel corso della nostra intervista, infatti, cita Immanuel Kant e Alesteir Crowley. Dice che Magick – un testo che ha ispirato persino i Led Zeppelin – non la sta convincendo fino in fondo, perché finisce nel magico, nell’occulto. «Mi fa paura – dice – io sto nella luce, nel sole». Poi sul palco e nei suoi brani cita Battiato e Gabriella Ferri, unisce il pianoforte classico a David Bowie, il theremin a De André, il fado alla musica elettronica, la dance al cantautorato, il dannatissimo pop al recital teatrale. E a tal proposito, in fondo a questa intervista trovate un coupon di sconto riservato a noi lettorə di Gay.it per il suo concerto del 24 Aprile al Blue Note di Milano.

 

Dalle fogne fino al cielo stellato: intervista a Dolcenera - Matteo B Bianchi1 - Gay.it

Anima Mundi è la tournée con cui – proprio questi giorni nei club e nei teatri italiani (qui tutte le date) – riassume oltre vent’anni di carriera e di ricerca. Una ricerca inesausta verso il suono adatto a restituire il senso delle cose, un viaggio verso l’abdicazione dell’io in favore di un noi, di un cuore collettivo, totale. Verso l’anima mundi, dice.

Cioè?

Facciamo tutti parte di un’anima sola. Sono arrivata a questa consapevolezza dopo anni di studio, di letture, di analisi e autoanalisi. È stato un percorso che mi ha portato dall’età dell’invincibilità all’età della consapevolezza.

Come si coniuga questa filosofia alla musica pop?

La musica è il mio strumento per raggiungere gli altri. Con questa tournée non voglio tenere lezioni filosofiche, voglio raccontare quanto è utile distaccarsi dall’ego, smetterla di considerare le proprie ansie e provare a osservare la vita proprio attraverso il filtro dell’anima mundi e dei cinque elementi costituenti.

Aria, Acqua, Terra, Fuoco e…?

Ed Etere, la quintessenza dell’anima mundi, il simbolo della connessione e della condivisione. La Terra è stabilità, l’Acqua è la nostra voglia di fluire, l’Aria è la libertà, il Fuoco il cambiamento, l’amore trasformativo. Anche le canzoni sono divisibili in questi elementi: ci sono canzoni che inneggiano alla trasformazione, altre che chiedono la pace universale, canzoni di etere, quindi.

Hai sempre parlato di pluralità e collettività. Basti pensare ai titoli dei tuoi album: L’evoluzione della specie, Il popolo dei sogni, Il Paese delle Meraviglie, Un mondo perfetto.

Sì, quella è la mia cifra. L’essere umano non è fatto per stare da solo. Da sempre si organizza in tribù, in città, in nazioni, in organizzazioni internazionali. Il concerto è anche un’occasione per riflettere su come si sta evolvendo la realtà.

Come si sta evolvendo?

Stiamo andando nella direzione del distacco emotivo, anche a causa dei social. X è una fucina di odio, Instagram è il posto dell’immagine vincente, dell’illusione. Mi turba tutto questo, anche io mi sento distaccata dalla realtà. C’è qualcosa che non mi torna. Per questo voglio ripartire dalla connessione universale.

In Credo canti «Credo nell’amore che ci lega ancora tutti insieme»: ci credi ancora?

Sì, ci credo ancora. Noi esseri umani non siamo cambiati nell’essenza, abbiamo ancora bisogno d’amore. Siamo solo maleducati.

Nello stesso brano citi anche Kant.

«Tutto è collegato dalle stelle fino al cielo stellato», sì.

Scrivi spesso anche del potere del sogno come forza attiva: qual è il tuo sogno più grande?

Riuscire a trovare una pace interiore, un equilibrio che mi permetta di affrontare questa nuova fase della mia vita. Riuscire sempre a vedere il bene. Comunicare il bene, cantare l’unione, l’amore collettivo. Ho sempre cercato l’amore collettivo nella mia musica. Non so bene perché, è un po’ una condanna.

Sei ottimista?

Assolutamente no. Mi sveglio la mattina, prendo in mano il cellulare e mi prende l’ansia. C’è stato un periodo in cui per non essere bombardata dalle brutte notizie, sul cellulare ho scaricato giochini e videogiochi per distrarmi. Poi ho cancellato tutto.

La musica non ti distrae?

No, non riesco ad ascoltare molta musica ultimamente. Sono spiazzata, sento che c’è una rete che tenta di bloccare le diversità, indica dei canoni di omologazione da seguire. Non mi piace.

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Un sogno che hai smesso di sognare?

Che la qualità possa essere davvero valorizzata.

La musica si sta appiattendo, dicevamo, eppure tu sei ancora la più entusiasta. Da cosa è alimentato il tuo fuoco?

Dalla mia parte inconscia, dal mio karma, dal mio talento e dal mio sentire. Percepisco la realtà in maniera forte: mi rende più fragile, ma mi permette di affrontare la musica in modo più intenso. Non è un caso che io mi senta quasi ipnotizzata durante i miei live: sono talmente concentrata, talmente connessa, che quel fuoco riesce a generare la mia verità. Con la mia musica sono sempre stata pura, sincera, libera.

Cosa significa essere un’artista indipendente?

Significa fare centinaia di volte più fatica. Sono stata indipendente anche ai miei esordi.

Sanremo Giovani 2003.

Esatto. Mi sono presentata da indipendente. I discografici volevano cambiare il titolo e il senso della mia canzone. Siamo tutti là fuori doveva diventare Siamo tutte qua fuori.

La solita storia delle donne che possono parlare solo alle donne, mentre gli uomini possono parlare a tutti?

Il noi è consentito solo ai maschi. Ligabue canta Non è tempo per noi, Vasco canta Siamo solo noi.

In Lo-Fi canti ironicamente: «Se detto da una donna non vale molto»: ci sono ancora cose che le donne non possono cantare?

Se una donna canta d’amore è una lagnona, è sdolcinata. Se lo fa un uomo, invece, è dolce. Però se cantano e scrivono di altri argomenti, vengono zittite. Come fanno, sbagliano.

Cosa non avevano capito i discografici nel 2003?

Che il brano raccontava la trasposizione, l’altrove. L’anima che vuole andare là fuori in mezzo agli altri, per realizzare un sogno collettivo.

Essere indipendenti è essere libere?

Sì, ma spesso significa sentirsi anche sole e a me la solitudine non piace. Quando è scoppiata la guerra in Ucraina, ho scritto Calliope (Pace alla luce del sole). Mi sono sentita sola. Perché non ci siamo schierati tutti?

In Niente al mondo canti «Se non c’è un futuro lo inventeremo»: come si inventa un futuro?

Dicendo no alla solitudine. Le grandi cose sono sempre state fatte da gruppi di persone tenute insieme da un ideale. Dobbiamo compartecipare alle cause degli altri, anche a quelle più lontane. Nella stessa canzone, per esempio, faccio riferimento anche agli scioperi operai.

«Ho visto un uomo dall’alto di una gru, il sole acceca, puoi fare quello che vuoi, ma restare soli non si può»: che pezzone.

Molti operai scioperavano in quel periodo mettendosi seduti sopra le gru. Era una causa lontana da me, ma non si poteva voltare la faccia. Bisogna compartecipare, anche se tutti adesso siamo iperconnessi ma sconnessi, scostanti.

Non c’è compartecipazione oggi?

Siamo tutti troppi incattiviti, aggrediamo.

Perché, secondo te?

Perché non c’è un salvatore, non c’è una persona integra alla guida degli Stati. Siamo disillusi e distaccati, ci sentiamo soli. Dunque ci arrabbiamo, aggrediamo. C’è gente che inneggia a Orban, a Putin. Vedono il male ovunque e allora preferiscono il male totale, l’integrità nel male.

È pericoloso.

Molto, ma siamo nell’epoca della condivisone facile. Non sappiamo maneggiare idee complesse. Servirebbero buoni esempi.

Li vedi, ne hai?

Politici?

Anche musicali, artistici.

Se c’è qualcuno non sono riuscito a sentirlo. Eppure cerco disperatamente.

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C’è connessione tra musica e politica?

La musica serve alla politica, perché è la politica che attraverso ciò che viene espresso nella musica ha uno specchio della società. La musica e l’arte servono a indirizzare. Oggi nessuno canta la società. Se non si canta la società, però, si alimenta la tristezza. Bisognerebbe provare a ipotizzare un sogno di futuro reale.

Quali sono le cose che ancora ti fanno stare bene?

Stare su un campo da tennis. Incontrare le persone che vivono bene all’aria aperta, che lavorano nella natura e sono felici. Stare insieme agli amici, a quegli amici con cui si condividono ideali più alti del mero sopravvivere quotidiano.

Scrivere canzoni?

Prima mi faceva stare meglio, oggi ci sono molti contrasti. La parte solare prende il sopravvento quando compongo, ma spesso mettersi a scrivere è doloroso.

E l’anima mundi?

L’anima mundi, sì, mi aiuta a stare meglio, perché serve a guardarci da lontano, a razionalizzare.

 

 

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