Coreografo, scultore, scenografo, regista teatrale, entomologo (per passione, ereditata dal bisnonno Jean-Henry, celebre scienziato), il cinquantenne belga Jan Fabre è uno degli artisti ‘fusionali’ più poliedrici e stimolanti della scena internazionale. Ossessionato dall’idea di far emergere, attraverso una provocazione spesso irruente, la follia e il disagio di cui è permeata l’illusione di felicità propagandata nella società contemporanea, ha fatto della compenetrazione trasversale delle discipline più varie uno stile personale della propria ricerca artistica. “Tanto i miei drammi che le opere d’arte visiva sono viaggi esplorativi dentro la mia testa e una ricerca di comunicazione. Tutto il mio lavoro è un tentativo di stabilire rapporti”.
Lanciato nel 1984 dallo spettacolo ‘Il potere della follia teatrale’ presentato alla Biennale di Venezia (kolossal su Wagner di cinque ore che ha girato il mondo), ha fatto parlare di sé l’anno scorso per un’acclamata mostra al Louvre, ‘L’angelo della metamorfosi’, in cui spiccava il celebre agnello d’oro ispirato a quello mistico di Hubert e Jan Van Eyck, ricercatissimo ninnolo di design per i miliardari più esigenti. Specializzato in rappresentazioni estreme sulle fluttuazioni fisico-concettuali della contemporaneità in cui gli umori corporali e i liquidi biologici diventano metafora della transitorietà e mutevolezza dell’essere – nell’intergender ‘Quando l’uomo principale è una donna’ un ballerino si trasforma in femmina danzando su 150 litri d’olio d’oliva, nel favolistico ‘Sono sangue’, ambientato nel medioevo fiammingo, combattivi cavalieri in armatura diventano corpi nudi intrisi di sangue – sta scandalizzando la Francia con l’ultimo spettacolo ‘L’orgie de la tolérance’ in scena al Théâtre de la Ville di Parigi e prossimamente a RomaEuropa e a Torino per il Teatro Stabile.
Ferocissima satira acclamata dal pubblico sulle odierne abiezioni consumistiche, è stato definito da Sergio Trombetta su ‘La Stampa’ “sconvolgente e nuovo”. Partendo dal presupposto che il cittadino di oggi è un ‘animale consumatore’ divorato da un ‘capitalismo libidinoso’ in cui l’essenza soggiace passivamente alle bramosie di possesso materiale e anche le diversità sessuali vengono omologate a segmenti di mercato, vede in scena parti atroci di bottiglie di Perrier e confezioni di patatine, giornalisti effemminati al seguito di fashion model con le fattezze di Gesù Cristo, danzatori gattoni con una canna di fucile infilata nell’ano, masturbazioni ossessive fino all’orgasmo, sottomissioni sadomaso e tassidermisti con cappucci del KKK che descrivono compiaciuti le loro collezioni di italiani, ebrei e musulmani impagliati.
“Un buon artista oscilla tra fragilità e forza estrema” spiega Jan Fabre. “Credo di aver messo in scena tutta la mia vita per divenire un artista giovane. Il successo è un veleno. Ho imparato a inginocchiarmi davanti a un’opera con dubbi, coscienza, umiltà. È così che posso quindi far vedere qualcosa di forte. E svegliare il pubblico”.
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