Una mostra sui “graziosi” travestiti

I travestiti genovesi degli anni '60 e '70 nelle fotografie dell'84enne Lisetta Carmi, "una santa laica" secondo l'amica scrittrice Barbara Alberti che ci racconta la sua storia eccezionale.

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"Via del Campo c’è una graziosa – gli occhi grandi color di foglia – tutta notte sta sulla soglia – vende a tutti la stessa rosa". Così cantava nel 1967, in un brano destinato a passare alla storia, il grande Fabrizio De Andrè, riferendosi ai travestiti che popolavano gli stretti vicoli del centro storico di Genova, i cosiddetti "caruggi", tra gli anni Sessanta e Settanta.

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Sono in mostra fino al 27 luglio, presso la Galleria Imperatore di Capri (via Roma 55), una trentina di scatti realizzati dalla fotografa genovese Lisetta Carmi tra il 1965 e il 1971, periodo in cui firmò anche un importante servizio sui portuali di Genova mentre lavorava per il teatro Duse. Le opere in mostra nell’isola dei Faraglioni immortalano alcuni tra i più celebri travestiti genovesi dell’epoca: dall’esuberante Gitana alla materna Morena, dall’ambigua Elena che di giorno fa la gruista all’Italsider, fino all’elegante Pasquale che in versione maschile indossa solamente tight. Un patrimonio fotografico unico che oggi non ci sarebbe se non fosse stato per l’intervento di Barbara Alberti, amica personale della Carmi ora ottantaquattrenne: le opere erano state raccolte in un libro pubblicato da Essedì in mille copie ma poco venduto. Al momento di andare al macero, la Alberti le acquistò tutte affinché non venissero distrutte.

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«Conobbi Lisetta negli anni ’70, quando faceva la pianista» ci racconta Barbara Alberti. «Mi colpì la sua straordinaria lucidità e la semplicità del genio. Andai a casa sua, uno splendido appartamento genovese. Le sue opere sono eccezionali. Allora fare un servizio fotografico sulle persone trans e travestite era come scoperchiare una catacomba. In quel tempo abitavano nel ghetto degli ebrei (tra via del Campo e piazza Fossatella, ndr) ma non li ho mai conosciuti. Decisi di acquistare tutti i libri di Lisetta, con cui riempii i mobili di casa. Regalavo questi libri per diffondere la sua meravigliosa arte. L’ho anche seguita nell’ashram che ha fondato in Puglia (a Cisternino, in provincia di Brindisi, ndr) quando conobbe un guru indiano. Lì ci trapiantò anche la sua mamma pittrice che rimase vedova a novant’anni. Lisetta ha uno straordinario spirito avventuroso di ricerca, è una fotografa davvero unica. A ottant’anni ha anche iniziato a studiare cinese. È diventata il mio faro spirituale, è una donna che fa scoperte in continuazione. Mi è rimasto impresso che quando le offrivi da mangiare e non aveva fame era solita dire: ‘grazie, sono già nutrita’. Per me è una santa laica. Un giorno, tanti anni fa, si trovava davanti a uno dei suoi trulli quando è scoppiato un temporale e lei è stata colpita in testa da un fulmine: aveva solo un lividino sulla fronte. Dopo stava persino meglio. Lisetta dava questa spiegazione con estrema naturalezza: "io, semplicemente, non ho opposto resistenza". Non ho ancora visto la mostra caprese ma non vedo l’ora di farlo».

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«Sono entrata nell’ambiente dei travestiti per caso nel 1965 durante una festa di Capodanno» spiega Lisetta Carmi. «Li ho rivisti successivamente nella loro vita quotidiana e ho cominciato a vivere con loro e a fotografarli. Li ho subito sentiti come esseri umani che vivono e soffrono tutte le contraddizioni della nostra società come minoranza ricercata da una parte e respinta dall’altra. Non è un caso, però, se il mio interesse e la mia partecipazione ai loro problemi ha creato fra me e loro una fiducia, un affetto e una comprensione che mi hanno permesso di fare questo lavoro con un rapporto che andava al di là di un normale rapporto tra fotografo e fotografati. Io stessa in quel tempo ero assillata – forse a livello inconscio – da problemi di identificazione maschile o femminile. Oggi capisco che non si trattava tanto di accettazione di uno ‘stato’ quanto di rifiuto di un ‘ruolo’. E i travestiti, o meglio il mio rapporto coi travestiti, mi hanno aiutato ad accettarmi per quello che sono: una persona che vive senza ruolo. Osservare i travestiti mi ha fatto capire che tutto ciò che è maschile può essere anche femminile, e viceversa. Non esistono comportamenti obbligati, se non in una tradizione autoritaria che ci viene imposta fin dall’infanzia. »

«Mi diceva un travestito, riferendosi alla sua vita privata e non certo al suo lavoro: "Quando io ho un rapporto d’amore, non mi importa se è con un uomo o con una donna: è un essere umano che in quel momento mi dà se stesso e al quale io do me stesso". Una difesa dell’omosessualità? No. Forse è invece un’apertura verso rapporti umani più veri e più liberi e il rifiuto di rapporti standardizzati e violenti. E non è un caso che proprio lo stesso travestito, che anni fa appariva come una bellissima donna, oggi ha ritrovato la sua parte maschile, attende con gioia un figlio dalla donna che ama e non fa più il travestito. La sua è stata un’avventura umana, un ritrovarsi da solo con le sue sole forze, in una società che per difendere dei principi non è più capace di vedere gli uomini».

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