Al Ze Festival nizzardo è stato uno dei titoli più acclamati, e a ragione: Beach Rats di Eliza Hittman è davvero la sorpresa americana queer della stagione.
Questo intenso dramma indipendente, vincitore della miglior regia all’ultimo Sundance Film Festival, potrebbe a prima vista apparire come uno dei tanti film indie low budget su giovani sfaccendati e allo sbando eppure no, è tutt’altro: grazie soprattutto a una scoperta attoriale che lo illumina dalla prima all’ultima inquadratura. Si tratta di Harris Dickinson, una vera rivelazione, attore londinese già adocchiato da Danny Boyle che l’ha voluto per il ruolo di Paul Getty III nella serie tv Trust da lui diretta.
Sì, perché Dickinson resta davvero impresso nel ruolo di Frankie, giovane newyorchese di Brooklyn – abita in Avenue Z, si direbbe la periferia estrema – oppresso da una situazione famiglia complicata: il padre sta morendo di cancro accudito in famiglia, la cui atmosfera è quindi avvolta da una cappa di angoscia; la mamma (Kate Odge, bravissima) è evidentemente depressa; la sorella cerca di distrarsi con un amorino mal visto di Frankie. Lui ciondola con un gruppetto di amici semidelinquenti tra il luna park e la spiaggia dove periodicamente viene organizzato uno spettacolo di fuochi d’artificio che ormai l’annoia, adora fumare – soprattutto marijuana – ed è sessualmente fluido: ha una ragazzina presente a momenti alterni, Simone (Madeline Weinstein, deliziosa) ma Frankie è soprattutto intrigato da uomini maturi che conosce su una web-chat gay e poi si porta in luoghi di battuage o motel non distanti.
La macchina da presa è letteralmente stregata da Harris Dickinson e ne scruta ogni angolo del corpo, ogni flessione muscolare, ogni cambio d’espressione ma con una sensibilità particolare, per nulla voyeuristica: lui è talmente cinegenico che il risultato conquista subito lo spettatore. Dickinson è inoltre bravissimo nel recitare coi giusti sottotoni, rendendo credibile l’evoluzione di questo coming of age all’insegna di una fluidità sessuale molto contemporanea: Frankie cerca di mantenere i tre mondi separati (casa, amici, sesso gay) ma qualcosa si inceppa quando questi tenderanno a intersecarsi rivelando tutte le contraddizioni intrinseche dei vari aspetti della personalità di Frankie.
Evitando le trappole di certo cinema indipendente americano tra cui l’eccesso di dialoghi, qui molto sorvegliati, la regista cerca di sfruttare la bellezza ancora acerba di Frankie/Harris con i giusti controluce – bellissima la fotografia della francese Hélène Louvart che ha lavorato con Wenders e Alice Rohrwacher – evidenziando come acquisti progressivamente sicurezza scoprendo poco alla volta il proprio orientamento sessuale a partire da uno sperdimento iniziale che sa di disagio e frustrazione (il fumo perenne in cui è avvolto, soprattutto in un locale dove si fuma la shisha, una sorta di narghilè, diventa chiara metafora del suo sperdimento esistenziale). Della scuola non si vede nemmeno l’ombra, nessuno dei ragazzi sembra la frequenti, e il compito educazionale, nel caso di Frankie, sembra da lui ricercato proprio negli incontri furtivi con uomini molto più grandi che in realtà non hanno alcuna attitudine paterna nei suoi confronti.
Beach Rats non ha ancora una distribuzione italiana ma meriterebbe di arrivare nelle sale tradizionali.
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