Sono passati esattamente 30 anni dalla prima messa in onda di “Mery per sempre” (4 maggio 1989), film drammatico di Marco Risi tratto dall’omonimo romanzo di Aurelio Grimaldi. La trama e i personaggi hanno lasciato un’impronta indelebile nel cuore di una generazione e, in particolare, nel mio. Ambientato in un carcere minorile palermitano, Mery per sempre (trailer) racconta le storie disastrate di un gruppo di ragazzi affamati di libertà, ma consapevolmente rassegnati a un destino di povertà e disagio. Pietro Giancona, interpretato da un giovanissimo Claudio Amendola, vive di piccoli furti. Natale Sperandeo, ruolo affidato a Francesco Benigno, è imputato per l’omicidio degli assassini di suo padre. E poi c’è Mario Libassi, efebico transessuale che esercita la prostituzione, arrestato per aver ferito e derubato un cliente. Mario in realtà è Mery e la sua identità è così forte da imporsi anche sul titolo della pellicola insieme a quel “per sempre”, iperbole perfetta di quel senso di crudele predestinazione che aleggia su tutta la trama. Nei panni di Mery recita una giovanissima Alessandra Di Sanzo, tra le prime icone transgender del cinema d’autore nostrano.
Dopo il grande successo di Mery per sempre, la vita e la carriera artistica di Alessandra proseguono tra cinema (Ragazzi Fuori, Le Buttane, Ragazzi della notte, Vita da paparazzo), teatro (Backstage – Il grande sogno, Festa d’estate per sole donne) e qualche apparizione televisiva. Chi non è nato negli anni ‘80 come il sottoscritto forse non la conosce.
Da qui l’intenzione manifesta di questa intervista: rispolverare a trent’anni di distanza l’attenzione su quel film e sul personaggio di Mery soprattutto, primigenio esempio di transessualità portata sul grande schermo, divenuto poi iconico nell’immaginario omosessuale collettivo. Ma non solo. Questa intervista vuole ritrovare e ringraziare Alessandra Di Sanzo, per il suo talento, per aver dimostrato intelligente noncuranza nei confronti del pregiudizio, per aver generato – con la sua interpretazione – cortocircuiti emotivi e moti d’orgoglio in adolescenti troppo irrisolti e adulti con troppa verità in mano. Quest’intervista è un tributo alla libertà, quella soffocata nel rancore dal film di Marco Risi e quella fiera e mai sopita di Alessandra Di Sanzo.
Mery, un travestito diciassettenne rifiutato dalla sua famiglia che si trova al “Malaspina” per aver gravemente ferito un cliente occasionale. Eri davvero minorenne ai tempi del girato? C’erano degli aspetti psicologici di quel personaggio che ti appartenevano realmente?
No, avevo 19 anni e credo che il tratto comune con Mery fosse essere al di fuori di ogni schema reverenziale. Nel film si incontrano due pianeti (il fuori e il dentro) e avviene una collisione. Chi non troverebbe aspetti che gli appartengono…?
Essere la prima diva transgender del cinema italiano degli anni ‘80 che cosa ha comportato in termini di conquiste e rinunce?
Né diva, né transgender. Alessandra. Alessandra che conquista il rispetto sinonimo di integrità, di cuore, di compassione. Vedi, non ho mai rinunciato a nulla. Ho tutto quello che desideravo e che desidero, tutto ciò che è essenziale per potersi ritenere soddisfatti: mi posso ancora guardare allo specchio.
A 30 anni esatti da quell’esperienza, che cosa ricordi del provino con il regista Marco Risi che ti scelse per quella parte?
Le risate. Marco seppe andare oltre. Si presentò come aiuto regista, almeno credo.
In questi anni sei stata molto critica nei confronti dell’atteggiamento finto-buonista del mondo dello spettacolo nei confronti delle persone trans. Qual è il rimprovero più severo che senti di rivolgere?
Trans… Ancora etichette, ancora cliché. Ancora genere. Siamo tutti singolarità, buchi neri, infinito. Persone uniche e irripetibili. Io non lavoro perché i ruoli da donna non me li fanno interpretare. L’identità è un mistero complesso. E io non accetto compromessi.
Come vedi il quadro italiano rispetto ai diritti trans e, più in generale, a ciò che ancora viene percepito come “diverso”?
Dovremmo smettere di considerarla una questione esclusivamente interna ai circoli LGBTQ+. I diritti trans, lesbo, gay, bisex, devono essere riconosciuti per quello che sono: diritti umani. L’Italia è ancora troppo moralista e conservatrice.
Sei stata vittima di omofobia? Come hai reagito?
Con schiaffi e grida. Tipico di una donna…
Pensi che il tuo personaggio abbia contribuito a far crollare i tabù su un argomento di cui nessuno voleva davvero parlare?
Molte persone hanno trovato il coraggio di fare coming out. In tante mi scrivono che il nome che hanno scelto è proprio Alessandra e questo fa parte di tutti quei piccoli momenti di assoluta felicità.
Quali sono i momenti della tua carriera cinematografica che ricordi con più affetto?
Assolutamente tutti. Ognuno ha contribuito alla costruzione di quella sono oggi.
Ci sono film che hanno rappresentato per te momenti di forte ispirazione o che reputi particolarmente significativi nel panorama contemporaneo?
“Pomodori verdi fritti alla fermata del treno” e “Il colore viola”. Ogni respiro di questi film è significativo.
Il tuo addio alle scene risale al 2010. Perché questa scelta?
Quale addio?
Adesso vivi a Bologna, di cosa ti occupi?
Faccio da mamma a 5 bimbi pelosi.
Un grazie speciale a Emiliano Mereu, che ha reso questa intervista possibile.
In apertura una foto di Alessandra Di Sanzo scattata da Carlo Bellincampi ©
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