I Gay Pride sono il simbolo universalmente riconosciuto dell’orgoglio gay, eccentriche sfilate a cavallo tra il frivolo Carnevale di Rio e una solenne sfilata contro le discriminazioni.
Se prendessimo una persona assolutamente a caso probabilmente alla parola “gay” collegherebbe immediatamente la parola “pride”; anche se digitiamo su internet la parola “gay” le foto che troviamo sono quasi tutte inerenti a qualche pride.
I “Gay Pride” sono nati come manifestazioni dei gay per urlare al mondo l’orgoglio nell’amare altri uomini. All’inizio il loro intento era quello di sconvolgere, di impressionare, e i festoni, i cartelloni, i carri, i mille colori che tingono abiti e corpi certo avevano raggiunto questo scopo. Eppure se all’inizio la comunità gay, vissuta fino a pochi anni prima nell’ombra, sentiva la necessità di emergere, apparire, sconvolgere, c’è da chiedersi se ai nostri tempi abbia ancora senso una manifestazione del genere.
Che i gay siano orgogliosi della propria sessualità ormai nessuno dovrebbe più metterlo in dubbio: talmente tante persone sono uscite e ancora escono allo scoperto che lo stesso termine coming out è diventato demodé; in quasi tutto l’Occidente ci possiamo sposare, in alcuni Paesi possiamo addirittura adottare! Che senso potrebbe avere, dunque, nel 2016, scendere in piazza a sbandierare le proprie idee in modo così scenografico, così eccessivo?
Quando penso a Gay Pride penso al film Pride, un esempio stupendo e commovente di una lotta davvero coi fiocchi. I minatori, gli uomini virili per eccellenza, cazzuti e mascolini, che sfilano affianco ai gay, per molti versi gli antipodi. Forse sono solo uno stupido a sperare che un giorno, magari anche, qui in Italia potrà accadere una cosa del genere: gruppi totalmente opposti e antitetici schierati fianco a fianco nella marcia verso i diritti, qualsiasi essi siano. Lavoratori, esodati, cassaintegrati, disoccupati, donne, uomini, etero, gay, bianchi, neri, anche i gialli uniti mano nella mano per degli ideali, che siano questi il matrimonio o un posto fisso, la possibilità di adottare dei figli o uno stipendio sufficiente per mantenerli.
In una fase storica tanto importante, soprattutto per noi gay italiani impegnati in una vera e propria guerra contro i cattobigotti, non avrebbe forse più senso trovare nuovi alleati tra coloro che come noi ed anzi più di noi soffrono e si vedono privati di ciò che spetta loro di diritto? Sfruttiamo le mille argomentazioni a nostro favore che ci derivano dalle lettere, dalla filosofia e dalla storia, invece che sventolare bandiere e aggirarci in deshabillé: solo così, io credo, potremmo dimostrarci non solo dei gran fustacchioni e degli eccentrici festaioli ma anche, come è giusto, uomini con degli ideali profondi, delicati e sacrosanti, attivi in una guerra che per molti aspetti è simile a quella dei lavoratori che ogni giorno, proprio come noi, manifestano per i propri diritti.
Lasciamo in armadio perizomi e striscioni (quelli ci torneranno utili quando dovremo festeggiare la vittoria), ora scendiamo in campo con la nostra arma migliore: in tutto il mondo noi italiani siamo famosi per le nostre chiacchiere, allora usiamole per rassicurare chi ci teme, convincere chi ci ignora e colpire chi ci attacca.
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