I QUADRI DELLO SCANDALO

Scannabue: nudi maschili intensi e sconvolgenti

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Un pittore anomalo. Un autore capace di comunicare con le persone a un livello particolarmente profondo. Scannabue riesce a infondere un mistero che non può lasciare indifferenti nei suoi quadri, da oggi in vendita anche su www.gayshopping.it (Clicca qui per maggiori informazioni). Nelle sue opere campeggia onnipresente la figura di un uomo, nella maggior parte dei casi completamente nudo. L’origine di questa tematica sarà lui stesso a raccontarla nel corso di questa intervista.

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Qual’è la tua formazione artistica?

Di fatto nessuna. Non ho mai frequentato licei artistici nè accademie di belle arti. Sono un perito industriale. Ma evidentemente questa non era la mia strada… Non ho mai imparato a dipingere. Ho preso colori, tele e pennelli e ho cominciato. Ho dipinto quello che avevo in mente da diversi mesi, ovvero un Uomo in ginocchio circondato da uno spazio immenso, avvolto nel silenzio totale. Un uomo del quale tutt’ora non conosco l’identità. Un uomo senza volto.

E quando è nata questa esigenza di ritrarre una figura maschile?

Alcuni anni fa, il 9 Febbraio del 1989, in seguito ad un grave incidente in auto, la mia vita ebbe una svolta e i piani che mi ero prefissato sfumarono. Dopo alcuni mesi e tre operazioni chirurgiche, iniziai ad identificare un’immagine dapprima poco distinta e in seguito più definita, di una figura di uomo. Mi venne l’idea di dipingerlo e lo feci dall’oggi al domani. Era un’esigenza, una necessità: liberarmi di quelle immagini dal sovraffollamento mentale, dalle sovrapposizioni. Una volta dipinto, libero la mente o almeno per un po’.

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Che tipo di problemi hai avuto a causa del soggetto dei tuoi quadri?

Ho avuto qualche problema nel diffondere, manifestare il nudo maschile. Da un certo punto di vista mi ripugna dover parlare di "nudo maschile", quasi fosse l’unica vera tematica dei miei soggetti. E’ vero, sono nudi. Ma nessuno si accorge che nel nudo c’è l’essenzialità dell’essere? E la risposta è questa: nessuno se ne accorge, salvo pochi rari individui. Con mio stupore, dopo vari fallimenti, legati ad una sorta di derisione alla vista di un pene, o ad inaridimenti legati a sindrome di pornografia, pochi preziosi riscontri ci sono stati ed io, avevo raggiunto lo scopo. Ma i problemi legati ad un Uomo nudo non sono ancora finiti ed io mi sono motivato ad iniziare la mia battaglia.

Quali esposizioni hai fatto?

La prima alla fine del ’98 a Milano: era nei giorni 6-7-8 Dicembre in un grande albergo di Milano. L’idea nacque dal fatto che nella città di Crema, rischiavo di essere espulso da parte dell’amministrazione comunale nell’expo di una collettiva prevista nel Gennaio 1999. Quindi esposi a Milano, poi a Crema poi a Orzinuovi (BS) e infine a Pandino (CR). Uscii dalla collettività richiudendomi in me stesso. Esposi un ultima volta nel 2000 a Bolzano.

E quali sono state le reazioni?

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Il più delle volte tragicomiche. L’evidente ottusità dei più traspariva nei loro commenti, a volte davvero comici, a volte inappropriati. Preferisco ricordare due casi davvero singolari. A Bolzano un uomo, reduce da un esaurimento nervoso che lo sconvolse per diversi anni e modificò il corso della sua vita mi chiese un quadro in particolare: un uomo visto da dietro, saliva le scale e andava verso la luce provenendo dal buio. Ebbene, quell’uomo sapeva di essere l’uomo ritratto nel quadro, si era identificato. A Milano, una donna si commosse davanti ad una immagine: il titolo era "Preghiera". Diceva che durante la prigionia a Dachau gli ricordava un uomo che stava per essere ucciso, e che poi lo vide morire, accasciandosi sul fango. Aveva davvero le lacrime agli occhi. Non mi chiese il quadro. Ma quello stesso quadro fu modificato nove volte in due anni. La versione definitiva si trova a Scannabue, il paese dove sono cresciuto. Queste sono due delle reazioni importanti alle quali ho assistito. Credo che ci siano anche quelle delle altre persone delle quali non sono mai venuto a conoscenza e chissà quante sono e quali…

Che relazione c’è tra la tua arte e l’erotismo maschile?

Un quadro è un po’ uno specchio che riflette il nostro immaginario, la nostra coscienza… e si tratta di un sentimento unicamente soggettivo. Non mi illudo di essere un artista, tendo infatti a non crederlo affatto. Preferisco essere considerato una sorta di… "interprete" e un esecutore. L’artista è un altro. In genere dico che dipingo ciò che sento, non ciò che mi piace, e quello che sento, non mi piace.

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Credo che non vi sia una vera relazione di erotismo intrinseca. Vedo i quadri che realizzo come un altro spettatore, e ciò che vedo non è legato all’erotismo ma più alla sofferenza, ad uno stato d’animo, alla solitudine, al silenzio. Il mio obbiettivo di ricerca è legato all’essenza, non all’esteriorità palese di un corpo. Il corpo ha il compito semmai di comunicare la propria interiorità… nel silenzio non ci è dato comunicare con il verbo, ma con lo spirito e lo spirito è la sintesi eterea del corpo.

Lavori con modelli dal vero?

Fino ad ora ho sempre utilizzato la proiezione mentale che talvolta, come si evince dai lavori mostrati, tende spesso ad una deformità. In un quadro in particolare, "passaggio di forma" è particolarmente manifesta questa deformità. Un’altro esempio è "tunnel", penso che sia impossibile mettere in posa un uomo in quelle circostanze di sospensione. Nelle immagini statiche, probabilmente, sarebbe opportuno disporre di un modello: è questo infatti il suggerimento che i due critici che mi seguono mi hanno dato, vale a dire studiare l’anatomia e avvalersi di modelli per studi successivi. Ma con un modello dal vero il risultato sarebbe una tendenza al realismo accademico.

Credi che la bellezza maschile sia ancora un tabù nella nostra società?

Non credo che il nocciolo della questione tabù sia legata alla bellezza maschile in sé, quanto alla piccola appendice dell’organo genitale maschile. La vista di un pene, l’ho verificato, imbarazza ancora… in particolare le donne. L’uomo partecipa con distacco. Gli enti che possono disporre di spazi espositivi lo rifiutano. Lo accetta l’avanguardia, ma io non ne faccio parte. La casa editrice Taschen ha posto la questione, e sembra, attraverso un’analisi storica, che al pene sia attribuita una non meglio identificata sindrome da derisione. In sostanza, la vista di un pene a riposo, così umile e mite è in netto contrasto con la possanza del maschio. Se invece il pene è in stato di erezione suscita una sorta di "sbilanciamento" estetico rispetto alla muscolatura. Un uomo eccitato è più simile ad un animale, è aggressivo e istintivo, quindi irrazionale. Questo offende la natura umana intelligente, quindi lo rifiuta e ne adduce tutte le giustificazioni possibili. Un pene eretto inoltre, mostra una propria individualità indipendente dall’uomo cui è indissolubilmente legato, e qui lo "scorporo" è letale per l’Io maschile. In entrambe i casi, il disagio della "presenza". Ecco la necessità di coprire nell’arte del passato e del presente questa scomoda ed imbarazzante presenza. L’avanguardia invece lo ostenta, trovandoci così diametralmente opposti rispetto a prima, ma con il medesimo effetto poiché qui si tratta di provocazione. Io non voglio ostentare un pene attraverso i miei quadri, né lo voglio nascondere. Preferisco pensare che l’uomo sia il riflesso di Dio, come tale non può essere né rifiutato, né ostentato, ma rispettato nella sua universale bellezza.

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