IL MIO AMORE CON UN GAY

Intervista a Barbara Alberti, che ha appena pubblicato "Gelosa di Majakovskij": "Sessualmente non faccio differenze, ma il sesso maschile è una cosa forte; due, sono fortissimi"

IL MIO AMORE CON UN GAY - Barbara Alberti - Gay.it
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TORINO – C’è della magia nello sguardo di Barbara Alberti. Ed è una magia senza tempo. Forse sono i suoi occhi chiari, quel suo volto inquieto, al primo acchito duro come una corteccia. Mi accoglie nella sua stanza d’hotel, con un asciugamano a mo’ di turbante e quell’esuberanza che sotto l’apparenza di una personalità aggressiva tradisce un entusiasmo senza freni nei confronti dell’esistenza. Ha scritto un libro su una delle sue grandi passioni, Vladimir Majakovskij, una sorta di biografia immaginaria tra la prosa e la poesia, che trasuda sentimento già dal titolo: ‘Gelosa di Majakovskij‘ (Marsilio edizioni). Lo sta portando in giro per l’Italia (è appena stata su Raitre a ‘Cominciamo bene’ e l’ha presentato a Marina di Ravenna). Gay.it l’ha intervistata in esclusiva.
Ah, l’amore… Lei ha dichiarato: «L’amore è per i coraggiosi. Tutto il resto è coppia».
Sì, quando si diventa coppia si mente. Si mente a priori. Si diventa coppia quando si esercita il controllo l’uno sull’altro. Come quando si va a cena: in coppia si è più tenuti, da soli si è più spiritosi.

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C’è però un alternativa, praticata spesso dalle coppie gay: la coppia aperta. Lei crede nella coppia aperta?
Sono pochissimi i ‘coraggiosi’ che ce la fanno. La coppia aperta è una bella formula ma è per chi ha una concezione artistica dell’amore. E’ una cosa molto rara. Può essere una grandiosa trovata sociale. Spesso però è fondato o su una mancanza d’amore o sul fatto che uno dei due subisce. Subisce per orgoglio o perché ama. Poi noi tradiamo in continuazione. Venti, trenta volte al giorno. Con lo sguardo.
Poi subentra la gelosia… un altro suo aforisma sostiene che «al geloso basta il sospetto per essere felice».
Ah sì, il geloso è il poliziotto. Spessissimo è però solo uno stratagemma d’amore.
E che cosa l’ha resa ‘Gelosa di Majakovskij’?
Ho sempre amato la letteratura russa, le avanguardie russe. Ma mi piacciono soprattutto i poeti dissidenti, Marina Cvetaeva, Mandel’s’tam, Esenin che era un teppista, un poeta contadino. Su tutte le antologie c’è scritto che Esenin si è suicidato ma quando si sono aperti gli archivi del Cremlino si è scoperto che l’ha fatto ammazzare Trotskij con una messa in scena perfetta. Non ha assoldato dei killer professionisti ma dei poeti di Odessa suoi rivali che l’hanno torturato tutta la notte. Cinque anni dopo si è suicidato anche Vladimir Majakovskij, a 36 anni, e tutti hanno detto «come Esenin…». Esenin era sessualmente molto libero, non ha sposato solo Isadora Duncan.

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Non so perché ho scritto questo libro. Sono convinta che loro ci tengano per mano. Majakovskij è venuto da me, mi ha dato molta salute e mi ha fatto scrivere questo libro con mia grande sorpresa umoristico. Mi ha fatto inventare questo personaggio che è il gobbo di Majakovskij che è la sua spia, prima per conto dello zar e poi per conto dei sovietici. Un personaggio innamorato, patetico, comico. Majakovskij mi affascina perché è un poeta pieno di contraddizioni, per metà servo del regime e per metà completamente eversivo. Dove esalta il regime è da sbattere al muro. Un uomo bellissimo, adorato da tutte le donne di Russia e amato solo dal suo cane.
E di poeti gay in Russia ci sono testimonianze?
Nikolaj Kijuev. Un poeta contadino molto bravo e colto. E’ stato il maestro di Esenin e colui che l’ha lanciato. E’ morto in un campo di concentramento. Comunque è stato un grande carnevale. Tragico, con milioni di morti, però come si sono divertiti… poi s’è spento tutto. Nei primi quattro anni della Rivoluzione, quando c’era questa avanguardia che aveva dei mezzi incredibili, lavoravano con l’Armata Russa, le loro comparse erano l’esercito! La repressione sessuale non era ancora così forte. Dopo di omosessualità non si parla più, è diventato un argomento assolutamente tabù. La Cvetaeva ha avuto anche storie con donne.
E per lei l’amore gay è un amore come tutti gli altri?

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Ha ragione Sandro Penna: «Beato chi è diverso essendo egli diverso, e guai a chi è diverso essendo egli uguale». Ci sono amori comuni tra i gay come tra gli etero. Certo, una partenza di vantaggio c’è, secondo me. Finché farà ancora un po’ scandalo… Comunque sei guardato, non c’è niente da fare… il fatto di dover affrontare delle difficoltà è sempre un vantaggio, almeno a livello creativo. Un mio personaggio di ‘Donne di piacere’ dice: «Amare tutti, che orrore!». Personalmente non mi definisco. Francamente non ho mai fatto differenze. Mi innamoro sempre degli occhi, il resto viene dopo. L’innamoramento è il più grande produttore mondiale di endorfine. Non c’è droga o arte che tenga.
A proposito di ‘Donne di piacere’, un suo libro che è diventato film, che esperienza è stata?
Ne dobbiamo proprio parlare? Era una schifezza, l’ho dimenticato.
Amore e religione. Nei suoi libri è spesso presente l’elemento religioso. Crede che l’amore sia una specie di ‘fede sessuale’, il credere in una chimica superiore?
Sì, penso di sì. Ma non se ne può parlare. Siamo impotenti di fronte all’amore. Possiamo programmare tutto ma non questo.
Comunque la mia politica è l’amore gay. Già il sesso maschile è una cosa forte. Se ce ne sono due è una cosa fortissima. Come la poesia di Verlaine ‘Questa è passione’ che parla di amore omosessuale tra maschi, straordinaria. Sono sempre stata delusa dal rapporto lesbico. Sono stata sfortunata. Mi è molto più facile innamorarmi di un gay: sto vicino al baratro, mi piace di più. E non ne ho mai dovuto convertire neanche uno, mi piacciono così come sono. Ho avuto una lunga storia con un omosessuale. Spesso sono amori casti ma quest’idea dell’ostacolo, del calpestare un territorio che non ti spetta, è affascinante.
Il suo gay preferito?
Platinette. Un soggetto erotico unico. Una maschera cinese con due occhi splendidi. Vestito da donna butta tutta la sua sessualità in faccia, è una caricatura, ma da maschio…
Un’ultima domanda sul cinema. Lei ha collaborato alla stesura di soggetti per il cinema: ‘Il portiere di notte’, ‘Il maestro e Margherita’. Ce ne parla?
Costruire una storia per il cinema è una grandissima scuola. Bisogna ‘portare a casa la storia’, come dicono i produttori, è importante raccontarla, costruirla. Devi sapere che sei un anello della catena, la tua storia è funzionale alla regia di un altro. La sceneggiatura è stata riveduta da lei e Italo Moscati. Poi c’è stata anche una causa che abbiamo vinto grazie a un importante avvocato romano perché i titoli di coda non erano corretti. La Cavani, comunque, ha stravolto in meglio la mia storia.

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