Ancora una volta il cinema queer sudamericano si dimostra interessante e vitale: è uscito in sala, grazie alla coraggiosa Lucky Red, Le Ereditiere di Marcelo Martinessi. Un’opera prima d’autore ambientata in Paraguay – nazione di cui effettivamente sappiamo molto poco, soggiogata dalla dittatura di Alfredo Stroessner dal 1954 fino al 1989 – e ricoperta di allori all’ultimo Festival di Berlino (migliore attrice, premio Fipresci della Critica e premio Alfred Bauer per l’innovazione: quest’ultimo ci sembra in realtà abbastanza incongruo).
Martinessi ci immerge nel mondo fatiscente di Chela e Chiquita (Ana Brun e Margarita Irun), una coppia di donne sessantenni che sta insieme da trent’anni ma ultimamente è in crisi: non si sfiorano praticamente più, e quando Chiquita tenta un approccio Chela la respinge perché “sa troppo di fumo e alcol”. Un tempo erano benestanti – si direbbe per l’eredità del titolo anche se nel film non viene raccontato nulla a questo proposito – ma adesso sono costrette a vendere gli oggetti della loro casa perché Chiquita è stata condannata per una frode fiscale che la condurrà in un carcere affollato simile a una comunità hippy.
Chela scopre così lentamente una nuova libertà e quando conosce la giovane e vivace Agy (Ana Ivanova), desiderosa di raccontare i suoi amori più o meno fugaci, ha un sussulto emotivo che le dona uno slancio in grado di rimettere in discussione la sua esistenza. Si reinventa così tassista, pur non avendo neanche la patente, per un gruppo di signore attempate che si ritrovano insieme per giocare a carte. E mentre prende confidenza col mezzo, sembra riprendere fiducia con la sua stessa esistenza, ingrigita da troppi anni spenti e trascinati. Così, gli oggetti che piano piano spariscono dalla magione – servizi di bicchieri di cristallo, quadri preziosi, mobilia varia – diventano metafora di parti di sé che Chela ha rimosso o ignorato nel tempo, anche a causa di una relazione che con gli anni si è spenta.
Nel film non succede quasi nulla, e per questo Le Ereditiere richiede un certo impegno: è però significativo lo sguardo del regista che ci regala uno spaccato inedito di ciò che resta di una borghesia un tempo florida che non vuole comunque rinunciare alla servitù – Chela e Chiquita prendono a servizio una donna analfabeta – nonostante seri problemi economici. A sorreggere Le Ereditiere è soprattutto l’interpretazione di Ana Brun che incarna una memorabile Chela, inizialmente malinconica e distante, poi protagonista persino di una coraggiosa (ma accennata) scena di masturbazione, quasi un ritorno inatteso alla vita erotica dimenticata ormai da tempo.
Gli uomini sono solo comparse che appaiono in secondo piano: il dominio è perennemente femminile, eppure la relazione tra Chela e Chiquita viene tenuta nascosta, non se ne parla esplicitamente, è ancora motivo di silenzi e imbarazzi.
Per chi ama il cinema d’autore, Le Ereditiere si rivela un’opera prima che merita una visione, e ci svela un Paese in cui non c’è nessun diritto legale per gli omosessuali. Addirittura, l’anno scorso, è stata promulgata una legge che vieta le discussioni lgbt all’interno delle scuole pubbliche. Eredità della dittatura di Stroessner?
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