Nel calendario della moda milanese la sfilata di Prada è stata per anni ‘la cosa di cui parlare’. Per anni è stata in grado di definire il nuovo corso e di tracciare il solco. È stata anche simbolo di un’epoca e di una milanesità che sapeva guardare a se stessa nel migliore dei modi possibili, in anni in cui la città cadeva letteralmente a pezzi dopo che gli anni 80 se l’erano bevuta fino all’ultima goccia e ormai sotto i colpi di giunte di centro-destra retrograde e paternaliste.
Miuccia sapeva proporre un’alternativa al nulla politico del berlusconismo con una noncuranza alta, pescando nel vecchio con sguardi retro-futuribili che erano manna dal cielo e statement radicale per uno story-telling perfetto. Lombardo. Di sinistra. Baluardo odiatissimoanche dalla sinistra stessa, come è facile immaginare.
Se le cose negli ultimi tempi si erano un po’ perse è stato anche forse per quanto la città è cambiata e Prada con la sua Fondazione è stata più che partecipe di questo cambiamento, donando alla nuova-Milano uno dei suoi nuovi simboli più iconici e desiderabili. La città è migliorata e non c’era più (così tanto) bisogno di eroi.
Con la sfilata di ieri si è tornati alle origini. Cifre stilistiche riconosciute e riconoscibili. Gli ossimori continui che hanno definito il brand negli anni. Le piume con il nylon, le stampe ’60 sulle culotte lingerie, il bomber ma decostruito, la ciabatta da piscina ma con la zeppa ereditata dagli anni di Luna Rossa, un cardigan di lana rasa, ma con abbottonatura doppiopetto sbagliata, e ancora doppiopetto su giacche e però indossate su culotte girocoscia. Quindi sì, anche citazioni di se stessi. Per esempio, a voler parlar d’annate. Anzi: di decenni. Miuccia non fa una sfilata anni ’40. O una sfilata anni ’70. In questa sfilata c’erano fantasmi anni ’20 in certi svilazzanti abiti da sera, la lingerie anni ’40 spruzzata di tappezzeria degli anni ’60 o di stampe ottiche anni ’70, le costrizioni e certi materiali vinilpasticosi da anni ’90 (compreso una specie di dettaglio che pareva un badge da new economy riportato su borse, scarpe, abbottonature…). E se all’inizio fu il vintage, qui siamo probabilmente a rimettere in circolo le rivisitazioni Prada dell’estetica vintage. I layer si sovrappongono all’infinito, perché Miuccia non è che fa vestiti, proietta le sue visioni con la nonchalance anti commerciale di una pazza che non ne vuole sapere di assecondare il mercato. Magari è solo masturbazione e la signora è semplicemente tornata a fare quello che le veniva meglio. Anzi certamente è così.
Certamente è così che si è guadagnata lo status intoccabile di sacerdotessa decontracté.
Sta di fatto che ci siamo ritrovati, dopo molto tempo, di fronte a Prada che fa Prada.
E abbiamo avuto la conferma che anche dopo anni, quella cosa lì lei la sa fare meglio di tutti.
La sfida funziona, ed è come in un film di Tarantino o come nell’ultimo fenomeno Netflix “Stranger Things”: dove l’effetto è, da una parte la coccola estetica – qualcosa che ci ricorda momenti dolorosi ma forti e significativi, come un’adolescenza in cui naufragare – e dall’altra il rischiatutto citazionista. Il gioco di ‘questo me lo ricordo veniva da qui, quello me lo ricordo veniva da là’. E con queste pinze la tensione tiene, sia quella emotiva che quella cerebrale.
Il dubbio che ci si spalanca davanti è però inquietante: sebbene perfetto, e sebbene non lo assaggiassimo da tanto, se affrontiamo lucidamente il nostro tempo e mettiamo da parte la nostalgia, tutto questo, qui e oggi, è ancora utile? Non importa: l’ultima parola che interessi Miuccia è “utilità” in senso ampio. Semmai, le interessa l’utilità spicciola.
Come ha spiegato la stessa signora Prada in conferenza stampa, qui si parla di “eleganza semplice”.
A dirsi.
(Jacopo Bedussi)
Fonte fotografica (per guardare tutta la sfilata) Nowfashion >
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