“Non si è seri, quando si hanno 17 anni – Di sera, sazi di birra e limonata – di caffè strepitanti dalle luci splendenti – si va a spasso sotto i tigli verdi del viale”. È l’attacco di un poema romantico contenuto nel cosiddetto ‘quaderno di Douai’ vergato da Arthur Rimbaud, l’”uomo dalle suole di vento” come lo chiamava il suo ‘amore maledetto’ Paul Verlaine. Ed è lo spunto per il titolo di un gran bel dramma adolescenziale, Quando hai 17 anni – Scegli di essere te stesso, del regista che è probabilmente il più bravo cantore dei palpiti di cuore nell’età acerba, il settantatreenne francese André Téchiné, autore di almeno un capolavoro a proposito, l’irraggiungibile Les roseaux sauvages.
Il contesto di Quando hai 17 anni è simile: tanta natura e tanto istinto adolescenziale. Ma questa volta collabora alla sceneggiatura la sensibile Céline Sciamma, e il tratto femminile si nota. Siamo nel dipartimento pirenaico dell’Ariège, tra le montagne della Francia sud-occidentale. Damien e Tom non potrebbero essere più diversi: il primo è un secchione borghese figlio di una dottoressa e di un elicoterrista dell’esercito, il secondo un meticcio adottato da una coppia di contadini montanari. E a scuola si odiano, si fanno sgambetti e altri dispetti, si picchiano al punto di far convocare a scuola i genitori. Ma il contrappasso è dietro l’angolo: la mamma adottiva di Tom aspetta una bambina e così viene invitato a stare proprio a casa di Damien per non dover attraversare mezza valle in un’ora e mezza. E così, anche se all’inizio continuano a volare botte da orbi, si scopre che tra i due c’è ben altro e, sotto sotto, covano turbamenti: la paura di piacersi, di provare un sentimento condannato dalla società, emarginante (ma loro sono ai margini e solitari fin dall’inizio, quando vengono scelti per ultimi dai compagni per formare la squadra di basket). C’è pura verità, e un naturalismo che fa pensare a Kechiche (La vita di Adele, ovviamente) nella stupenda interpretazione della rivelazione di Keeper, il pulcino svizzero bagnato Kacey Mottet Klein e, seppure leggermente inferiore come qualità, dell’attore e modello di origini congolesi Corentin Fila. “La macchina da presa riusciva a filmare tra loro uno scambio di energia elettrica” ha dichiarato il regista. Ed è molto fisico, immediato, animalesco il loro rapporto di amore e odio, sospetto che diventa poi fiducia, disprezzo che si trasforma inaspettatamente in passionalità carnale in una delle più belle scene di sesso gay degli ultimi anni (pure molto democratica, con una versatilità paritaria che sa di condivisione totale).
Téchiné ha raccontato che Kacey Mottet Klein, sedicenne ai tempi delle riprese, ha vissuto molto male la prima parte del film: “Era molto turbato dall’omosessualità del suo personaggio, vi opponeva una grande resistenza. Ero costantemente costretto a riportarlo verso le situazioni e i sentimenti che doveva interpretare. Gli ripetevo: ‘L’omosessualità non si recita. Concentrati sull’istante della ripresa, non preoccuparti dell’omosessualità. Nessuno è capace di interpretare un omosessuale o un eterosessuale: sono delle entità che non corrispondono a niente’. Un giorno andava tutto bene e il giorno seguente tornavano i suoi quesiti, alimentati dallo sguardo degli altri, i figuranti del liceo, che gli dicevano: ‘Allora, a quanto pare, è una storia di froci’. E a quel punto bisognava di nuovo fare una piccola riparazione”.
È infine una conferma la bravura della segaligna Sandrine Kiberlain nel bellissimo ruolo della mamma medico a cui manca da morire il marito in guerra che riesce a vedere solo ogni tanto via Skype. Sì, è davvero in grado di rendere con un semplice sguardo tutta la complessità del ruolo di madre, divisa tra l’istinto protettivo e la severità pedagogica nei confronti di un figlio di cui sa ancora troppo poco.
Da vedere assolutamente.
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Una scena di sesso molto democratica? Ma cosa vuol dire?