Marc Prato uno di noi? Ma anche no…

Marc Prato uno di noi? Ma anche no… - Marc Prato FlaviaVento - Gay.it Blog

Da Torino a Roma. Tutto in pochissimi giorni. L’eco della vergogna, la vera omofobia, è tornata ad attraversare l’Italia. Da nord a sud. Avvelenando i pozzi della decenza e del raziocinio, scaraventando di nuovo, come in un drammatico ritorno a casa, la questione omosessuale, intesa come diritti civili, normalità conquistata, nuove famiglie, amori che finalmente trovano un nome e una loro banale, noiosa, ancora peraltro nemmeno del tutto legiferata ritualità civile, dalle pagine nobili della politica a quelle d’accatto e di lettura veloce e schifata della solita cronaca nera.

Così la parola gay precipita nuovamente in un rapido e tragico giro di valzer – nel quale la stampa come al solito ci ha messo del suo – a popolare i peggiori incubi di sempre, con centinaia di migliaia di persone normali costrette nuovamente a giustificarsi e spiegare l’inspiegabile nell’eterno derby tra etero e omosessuali, nel quale no, noi gay non siamo tutti drogati, assassini, promiscui; un po’ come tutte le mamme non sono le assassine di Cogne e i figli non sono tutti Erika e Omar. Costretti insomma, di fronte ai gretti commenti dei bar virtuali e reali che “Ah!!! E questi vorrebbero pure i figli?!?”a ricordare che gli omicidi, dannazione, avvengono anche negli “ambienti etero”. Anzi, porca paletta, per una semplice questione banalmente numerica, proprio tra gli etero che i figli li mettono al mondo naturalmente e li ammazzano tragicamente come novelle medee, ne avvengono di più, tutti i giorni, ma semplicemente nessun giornalista titolerebbe “festino etero” perché l’espressione non è trend-topic nel nuovo linguaggio formulare chiamato Seo (Search Engine Optimization) che è l’acronimo inglese con il quale Google manda più su un articolo nell’indice delle ricerche. Poco nobile come argomentazione ma sostanziale, soprattutto per chi di informazione ci vive e ci guadagna, specie su internet. Dove però, anche lì, c’è un limite di decenza da non superare, sia chiaro. Perché no che Marc Prato, il presunto assassino di Roma, sia “uno di noi”, anche se lo dice il caporedattore gay dichiarato del Messaggero davvero non si può sentire e non sta in piedi.

Fatto sta che, di fronte allo storytelling delle nuove famiglie perfette e integrate, dei bravi ragazzi che nulla hanno da chiedere di più di una buona legge sulle unioni civili, bastano pochi elementi tanto distanti l’uno dall’altro quanto detonanti tra loro a rimettere tutto in cattiva luce, fino ad arrivare al colpo di grazia degli assassinii maturati nei soliti, sporchi ambienti dove la vittima è una povera professoressa raggirata economicamente e sentimentalmente da un giovinastro omosessuale, novello Jean Genet, travestito a giorni alterni nel ruolo che più preferiva, ladro, dongiovanni o Britney Spears, per di più in combutta col suo compagno di venticinque anni più vecchio. Oppure una storiaccia senza capo né coda, all’incrocio perfetto tra Arancia meccanica e Suburra, in un romanzo criminale che pare trasferito da una delle peggiori giornate di due novelli Jack Kerouac, capaci – come lo scrittore beat che si faceva di benzedrina – di andare fuori di testa ben oltre il limite sopportabile, senza però poi mettersi a scrivere sotto effetto, come faceva lo scrittore beat, ma massacrando un povero ragazzo di vent’anni, forse attirato addirittura con la promessa di centoventi euro, una marchetta ben pagata, a prezzi che trovi sui siti come Pianeta Escort o simili.

E in tutto ciò poco conta – a me lo ha ricordato mia madre, non un sito internet, neppure di informazione gay, benedetta innocenza – se alla fine tutti questi protagonisti un po’ Genet, un po’ Kerouac dei poveri, di fronte ai giudici e ai poliziotti non hanno nemmeno le palle o la coscienza di dichiararsi omosessuali. Perché a casa, nei brandelli di noiosa normalità che attanagliava persino loro, aspiranti novelli poeti maledetti senza poesia, avevano tutti la fidanzata donna, giovane eterosessuale, inconsapevole e stupita. Carnefici e vittime.

Segreti svelati di una Brokeback Mountain di città, italiana, del 2016, tra internet, smartphone, tv e carta stampata, ai tempi della legge sulle unioni civili, in un’Italia che non riesce a non essere provinciale, proprio come la provincia americana bacchettona, assetata di mostri da sbattere in prima pagina e, in questo caso, ripagata, finalmente, da un mucchio di assassini mezzi froci e mezzi etero che sulle prime pagine dei giornali hanno sostituito facilmente l’utero affittato da Nichi Vendola in Canada (nel frattempo presumiamo tornato in Italia col bambino senza essere arrestato, come chiedeva qualcuno), riuscendo a restituire fiato alle trombe dell’ennesimo Adinolfi capace di creare con una frase scritta dal giovane ucciso a Roma su Facebook il martire del Family Day ammazzato dalla ferocia sodomita in una vicenda che, per usare infine le parole più giuste, somiglia solo a una storia di orrore splatter, altro che omosessuale.

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