MA L’EURO ROSA NON E’ UN MITO!

Botta e risposta tra il nostro direttore e Giovanni Dall'Orto sul "mercato gay". Il modello, in Italia, è tutto fuorchè fallito: è solo agli inizi.

MA L'EURO ROSA NON E' UN MITO! - mardigras030016 - Gay.it
4 min. di lettura

Può capitare che il direttore di un giornale, anche se telematico, dissenta a tal punto dal contenuto di un articolo apparso proprio sul giornale che dirige, da costringerlo a prendere tastiera e video per rispondergli? Sì, può capitare, o quanto meno è accaduto a me, ieri sera, quando prima di lasciare la scrivania a Gay.it ho letto l’articolo che il bravo Giovanni Dall’Orto, nostro collaboratore pungente e incisivo nonchè stimato direttore della rivista Pride, aveva scritto a proposito dell’Euro rosa.
C’erano tre frasi in particolare dell’intervento di Giovanni su cui dissentivo in maniera particolare:
– “il pregiudizio verso l’omosessualità è talmente forte che (quasi) nessun imprenditore “serio” vuole sporcare la propria immagine con questo disgustoso mercato”
– “Quando mi viene chiesto (allo sfinimento) perché il giornale che dirigo non pubblichi pubblicità d’aziende non gay, nessuno mi crede quando rispondo che le aziende non la vogliono fare nemmeno se gliela regalo”
– “Gay.tv si è “accorta” troppo tardi del fatto che l’imprenditoria gay in Italia è prima di tutto un affare politico, e solo in seconda battuta, economico”.
Vediamole insieme.
La prima frase era contenuta in un articolo, a sua volta contenuto in una pagina su cui in questi giorni ruotano, a turno, i banner di Nokia, di Vodafone e di Medusa, tre aziende che non definire “serie” è un oltraggio alla verità. Quei banner non sono lì gratis: sono ovviamente pagati, e i responsabili della pubblicità di quelle aziende hanno deciso espressamente di essere presenti anche su gay.it. Anzi, proprio quelle tre campagne sono online sul nostro sito e su pochissimi altri. E allora? Com’è possibile sostenere che nessun imprenditore serio voglia “sporcare” la propria immagine finendo su un media gay?
Ma andiamo oltre e passiamo alla seconda frase. Su Pride, caro Giovanni, è vero che raramente ci sono pubblicità di aziende non gay. Ma Pride è:
1) un free-press, prodotto su cui gli investitori pubblicitari in genere non hanno ancora fatto grandi investimenti;
2) una rivista senza certificazione, unico elemento che garantisce l’investitore su quante copie vengono stampate;
3) una rivista con due pagine fisse dedicate alla vendita di film per adulti;
4) una rivista strapiena di pubblicità abbastanza esplicita di locali gay quali saune e cruising bar.
Badate bene: a me piace Pride, trovo che sia una bella rivista, scritta bene e diretta ancora meglio, un free-press che domani potrebbe andare in edicola, per la qualità dell’informazione che veicola. E non voglio neppure fare il moralista: anche gay.it è nel business dell’adult, con una parte non secondaria del fatturato di Cleptomania, il sito di e-commerce della nostra società, viene fatta con la vendita di dvd di film porno. Ma sfido chiunque a trovarmi un banner in una delle pagine di gay.it con immagini sessualmente esplicite, o una pubblicità di prodotti per adulti.
L’esperienza di Giovanni in Babilonia, del resto, credo gli abbia insegnato che le prospettive di crescita del mercato gay c’erano tutte, salvo poi la disastrosa sorte che l’editore ha imposto a quella rivista, distruggendo tutto quello che lui ed altri avevate con coraggio costruito in tempi ben più difficili di oggi, allontanandola dal grande pubblico e portandola a una chiusura di fatto.
Finiamo con la terza frase, che riguarda l’esperienza di Gay.tv.
Giovanni ha assolutamente ragione nel sostenere che probabilmente un decina di milioni di euro sono stati sperperati in quel progetto, ma credo che a distanza di quasi un anno dalla caduta in stato comatoso in cui oggi è, la verità vada detta, tutta e fino in fondo:
1) quel modello di business non reggeva: non regge l’idea di mantenere in vita una televisione satellitare, coi costi stratosferici che questa ha, pensando che economicamente possa reggersi solo sulle entrate da pubblicità
2) certo, viviamo in un paese in cui parlare di “mercato gay” fa sorridere ancora molti, in cui proporre un media gay è ancora difficile, ma le cose stanno cambiando e sono stramaledettamente convinto che se gli investimenti di gay.tv fossero andati non solo verso i contenuti e la tecnologia, ma anche nel costruire una forza vendita degna di tale nome, i risultati sarebbero stati ben diversi.
Sia chiaro: non voglio dire che è tutto rosa e fiori, che a Gay.it abbiamo azzeccato tutto e che il nostro è il sito del bengodi. Assolutamente no. Abbiamo ancora difficoltà nel trovare investitori e i conti, anche nel 2004, non sono ancora tornati. Ma il fatturato nostro è stato di quasi 500.000 euro, e solo una parte minoritaria di questi vengono dagli introiti dell’e-commerce e dei personals, gli annunci personali del network di gay.com. I restanti vengono dalla pubblicità: pubblicità di tanti locali gay ed alberghi, ristoranti, agenzie di viaggio e servizi gay-friendly, ma anche tanta pubblicità di grandi aziende nazionali o internazionali generaliste, che hanno visto nel target omosessuale un segmento su cui investire e in gay.it un partner affidabile e serio con cui collaborare. Sono Nokia, Vodafone, Medusa, Citroen, Meridiana, Klm, Air France, Basiq Air, Microsoft, Ikea, Ing Direct, Johnson & Johnson, Lancaster, Fastweb e tante, tante altre.
Sarà che sono un inguaribile ottimista, ma continuo a pensare che le prospettive dell'”euro rosa” sono positive anche in questo paese, in cui, come giustamente Giovanni rileva, ci sono Ministri della Repubblica che ci definiscono culattoni o finocchi od immorali. E continuo a pensare che anche l'”euro rosa” può dare il suo contributo al cammino di conquista di pari dignità e diritti che la comunità gay e lesbica sta compiendo. Basta solo resistere ed avere un po’ di pazienza.

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