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Gender Bender Festival: quando la bellezza condivisa porta cambiamento

Dal 9 al 22 settembre a Bologna un festival per celebrare l'attivismo culturale tra corpi non conformi, anticonformismo, e piena libertà espressiva.

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Gender Bender Festival
Lonesome un film di Craig Boreham
3 min. di lettura

Può l’arte cambiarci e migliorarci? La risposta e molto di più la trovate al Gender Bender Festival.

Tra il 9 e il 22 Settembre, presso il Cassero LGBTI+ Center di Bologna si terrà la 20esima edizione del festival internazionale che celebra la relazione tra corpi, identità, e diversità. Creato e diretto da Daniele Del Pozzo, con la co-direzione di Mauro Meneghelli e il sostegno del Comune di Bologna, della Regione Emilia-Romagna, del Ministero della Cultura e di sponsor privati – nell’arco di 14 giornate tra appuntamenti, prime nazionali, spettacoli di danza, cinema, feste, e incontri online, il Gender Bender accoglie artisti da più di 25 paesi, all’insegna di un programma multiculturale che va oltre i conflitti e le contraddizioni del nostro periodo storico, invitando alla riflessione e l’incontro comune: “Anche in tempi di conflitto profondo e lacerante, in cui le guerre ingombrano il nostro orizzonte e ci spaventano, riflettiamo sull’esperienza maturata in questi due decenni” spiegano Meneghelli e Del Pozzo “È un esercizio che richiede un’attenzione costante e attiva, come il passo di un funambolo che procede sicuro grazie alla rete delle relazioni costruite nel tempo.”

 

 

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Il nostro presente diventa luogo d’azione con la “curiosità e premura che nessuna persona resti indietro”.

Dalla prima nazionale di Am I, spettacolo del coreografo Michael Getman con protagonista Talia Paz, ballerina 54enne in un assolo di danza che riflette sul mutamento del corpo e lo scorrere del tempo, ponendosi come una risposta allo stigma che il corpo “invecchiato” subisce nel mondo della danza, alla presentazione di Overtur, documentario dell’italiano Andrea Zanoli che ripercorre la carriera artistica di Silvia Gribaudi, coreografa di performance art incentrata sulla ricerca del corpo e la relazione col pubblico, tra comicità e crudezza.

Il 16 Settembre ci sarà anche Luiz De Abreu, coreografo non vedente protagonista dello spettacolo O samba do crioulo doido, che lascia spazio ad un nuova versione accompagnata dal giovane ballerino Calixto Neto, che attraverso la danza decostruisce i cliché e luoghi comuni sul corpo nero, ereditati dallo sguardo colonialista. Tema ulteriormente ampliato da Soa Ratsifandrihana, coreografa francese per la prima volta al festival con il suo Groove, spettacolo che avvicinando artista e pubblico, si muove insieme una sequenza ritmica che unisce musica e corpo dell’interprete.

Il viaggio dei corpi non conformi trova libera espressione anche in I Versi delle mani, spettacolo partorito dalla coreografa Marta Bellu, l’interprete Lucia Lucioli, e la musicista Agnese Banti, che tra gestualità, fisicità del suono e relazione con lo spazio diventa un’ode al corpo disabile. Lo stesso tema ritorna anche negli incontri con la studiosa Flavia Dalila D’Amico e il coreografo Aristide Rontini, membri di Al.Di.Qua Artist, prima associazione italiana di e per persone con disabilità nel mondo dell’arte.

I versi delle mani - uno spettacolo di Marta Bellu - ph Monia Pavoni- image00003
I versi delle mani – uno spettacolo di Marta Bellu – ph Monia Pavoni

Non mancherà spazio per il mondo queer, dalla presentazione del libro Questioni di un certo genere, che insieme a Fumettibrutti, Vera Gheno, Arianna Cavallo e Ludovica Lugli, riflette sull’unione tra genere e identità, alla proiezione di Lonesome, lungometraggio del regista australiano Craig Boreham, che affronta amore, desiderio, e sesso nell’ambiente gay contemporaneo, seguito da titoli come My emptiness and I di Adriàn Silvestre e Wildhood di Bretten Hannah – delicati e toccanti coming of age sulla ricerca dell’identità e il proprio posto nel mondo. Si continua con l’incredibile e mai menzionato contributo delle donne nella musica elettronica nel documentario Sisters with transistors di Lisa Rovner e la denuncia della cultura machista e patriarcale nel film Poppy Field di Eugen Jebelea. Non verrà lasciata da parte un’ampia riflessione sull’attuale guerra in Ucraina, con Stop Zemilia – opera prima della regista ucraina Kateryna Gornostai, ultimo film proiettato nelle sale di Kiev prima dei bombardamenti – e la presentazione del libro Chiamatemi Esteban di Lejla Kalamujić incentrato sulla storia e dissoluzione della propria famiglia in Ex-Jugoslavia.

Tutto questo e molto altro, per una ricorrenza che sperimentando con innumerevoli mezzi narrativi, ci offre uno spaccato del periodo che stiamo vivendo, affiacciandoci ad un futuro incerto meno sole e più unitə di prima: ““Giunto alla ventesima edizione, Gender Bender continua a essere un tempo speciale per forme di attivismo culturale” spiegano Meneghelli e Del Pozzo “Consci che la bellezza condivisa possa produrre un cambiamento in positivo nella società”.

Qui trovate il programma completo del Gender Bender Festival.

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