Il Disagio, con la “d” maiuscola. Quello che “prende la mente come suo quartier generale”, come diceva il grande David Foster Wallace che oggi avrebbe compiuti cinquantun’anni se un’altra “d” maiuscola, la Depressione, cinque anni fa, non ce l’avesse portato via per sempre. È ciò che prova il sedicenne Charlie (Logan Lerman), nerd introverso e affetto da disturbi schizoidi, protagonista della commedia drammatica rivelazione Noi siamo infinito, riuscita trasposizione cinematografica del romanzo epistolare cult Ragazzo da parete (The Perks of Being a Wallflower, letteralmente “I benefici di fare tappezzeria”), diventato un film tredici anni dopo la sua pubblicazione – in Italia è edito da Sperling & Kupfer, ora disponibile anche in e-book col nuovo titolo – per la regia dello stesso autore, Stephen Chbosky, già sceneggiatore del musical gay Rent.
Una bella sorpresa perché, all’apparenza, può sembrare il classico e ritrito teen-movie di derivazione televisiva su adolescenti impacciati e fintamente problematici mentre si rivela piuttosto aggraziato e colmo di sensibilità, in grado di affrontare molti argomenti delicati (malattia mentale, droga, abusi, bullismo, omofobia) con attenzione e profondo pudore. Ma andiamo con ordine. Siamo nel 1991, e le canzoni si ascoltano ancora tramite i nastri delle musicassette che si collezionano gelosamente. Il timido Charlie soffre di dissociazione percettiva, cioè ogni tanto ha allucinazioni che lo estraniano dalla realtà, dovute principalmente a due traumi, la morte per suicidio di un amico e quella per incidente automobilistico di una zia. Ciò peggiora le sue difficoltà nell’ambientarsi al college finché non incontra l’altrettanto problematica Sam da cui è attratto (Emma Watson, distante anni luce dalla supponente Hermione di Harry Potter) e il gay irriverente Patrick (l’emergente Ezra Miller di …E ora parliamo di Kevin, dichiaratosi con slancio molto contemporaneo “queer e non gay” su The Advocate), fidanzato segretamente col quarterback della scuola che si finge etero coi compagni di squadra e di scuola. Fra Charlie, Sam e Patrick si instaura una solida amicizia che li aiuterà ad affrontare quel difficile passaggio all’età adulta che coincide con le prime delusioni sentimentali e l’ingresso nel mondo dei grandi attraverso il lasciapassare dell’Università.
Rispetto a molte commedie americane di formazione, i cosiddetti “coming-of-age movies”, intrise di stereotipi spesso moralisti sui “pericoli” delle tentazioni adolescenziali, la forza di Noi siamo infinito sta nell’osservare i protagonisti dal loro punto di vista, senza giudicare o ricorrere a facili sensazionalismi, ma mantenendo una certa levità pur non smussando necessariamente i toni (esemplare la sequenza in cui Charlie immagina di ricevere l’Eucarestia mentre si fa un acido). L’omosessualità dell’intelligente Patrick che fa suo quello spirito indocile e sarcastico, il cosiddetto “wit”, che consegnò Oscar Wilde all’immortalità – memorabile il suo Frank’n’Furter nella rappresentazione di una partecipata versione teatrale del Rocky Horror Show – è introdotta con naturalezza e non scandalizza nessuno ma particolarmente interessante è il modo in cui viene affrontato il tema dell’omofobia (il padre del quarterback picchia il figlio quando lo scopre insieme a Patrick) poiché, piuttosto che criminalizzare il genitore, si evidenzia soprattutto la paura del gay nel dichiararsi, e quindi la sua omofobia interiorizzata . E per una volta – scena da dibattito – l’omosessuale senza infingimenti non subisce passivamente la violenza ma dimostra le sue ragioni anteponendo ai suoi sentimenti la sua dignità di gay. Magica l’alchimia del trio di protagonisti molto ‘bertolucciani’ quando si dedicano a riti d’iniziazione quali le sfide al vento nel cassone del pick-up – li si immagina amicissimi anche nella vita reale – e straordinaria la colonna sonora vintage: The Smith, David Bowie, New Order, Sonic Youth, Cocteau Twins e via musicando.
Da vedere.
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