Dai quartieri di Nuova Delhi, dove nacque nel 1958, alle strade di Washington, Urvashi Vaid ha fatto dell’attivismo la sua vocazione, lottando per i diritti LGBTQ+ e mettendo la politica e i multimiliardari di fronte ai loro doveri e responsabilità attraverso le sue parole e i suoi gesti di protesta.
Avvocato, scrittrice e attivista, Urvashi Vaid ci ha lasciati lo scorso 14 maggio dopo una battaglia contro il cancro, ma la sua eredità nella lotta per l’uguaglianza rimane più viva che mai. Il suo lavoro e i suoi scritti hanno lasciato un segno indelebile, rendendola una delle attiviste più influenti del nostro tempo. Il suo impegno si è svolto su più fronti, e partiva sempre dalla sua esperienza di donna lesbica immigrata dall’India.
Inutile sottolineare come spesso, all’inizio della sua carriera, si trovasse ad essere l’unica donna coinvolta nelle discussioni con politici e uomini d’affari, che tentavano di minare la sua autorità. Ma senza farsi mai smuovere, e con un pensiero avanti di decenni, Urvashi parlava già negli anni Ottanta di classe e di razza, di genere e sessualità come di un tutt’uno: non si poteva lottare per uno dimenticando gli altri. Parlava già di intersezionalità, in un momento in cui molti non sapevano nemmeno cosa significasse.
E che momento! Dal 1989 al 1992 è stata la prima direttrice donna della National Gay and Lesbian Task Force, proprio quando l’epidemia di AIDS stava decimando la comunità LGBTQ+, l’intimità omosessuale era minacciata dalle leggi e il matrimonio egualitario ancora non esisteva. Proprio negli anni Novanta il suo attivismo si concentra sulla causa dell’AIDS, spingendo la politica a finanziare la comunità medica e la ricerca affinché si arrivasse ad una cura.
Soprattutto all’inizio, il virus veniva soprannominato “la peste gay”: altamente stigmatizzato, non meritava di essere studiato. Così, quando nel 1990 il Presidente H.W. Bush diede ilo suo primo discorso sull’epidemia da quando era stato eletto l’anno prima, Urvashi era fermamente convinta che il suo appello alla compassione sarebbe dovuto arrivare prima. Il suo cartellone con scritto “Talk Is Cheap, AIDS Funding Is Not” risultò nella sua rimozione dalla sala e nel non essere più invitata alla Casa Bianca per altre manifestazioni a favore dei diritti gay.
Così come venne arrestata durante una protesta fuori la Corte Suprema che manifestava per il diritto all’aborto, tema oggi tornato più attuale che mai. Per questo l’autore Mark Harris l’ha così ricordata con un messaggio su Twitter:
«Poteva sedersi con un gruppo di multimilionari e miliardari e persuaderli, convincerli, pungere le loro coscienze e far loro capire che avevano il dovere e l’opportunità di migliorare il mondo. Ma era altrettanto a casa – molto di più, in effetti – quando si metteva in strada a parlare con un pubblico di due persone che poi diventavano quattro, otto, sedici, e all’improvviso era un raduno»
Partecipò attivamente alle proteste contro la guerra in Vietnam e lavorò con diverse organizzazioni LGBTQ+ nel Paese, come la Gay Community News di Boston e l’American Civil Liberties Union’s National Prison Project, in cui si occupò di garantire un migliore trattamento ai detenuti malati di HIV.
L’intera comunità si è mossa per ricordarla in questi giorni, ripercorrendo le sue battaglie, i suoi traguardi e l’impronta che ha lasciato nell’attivismo LGBTQ+ degli Stati Uniti. Ma il ricordo più bello arriva dal nipote Vaid-Menon, artista gender-nonconforming, che ha affidato a Instagram il suo pensiero.
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«Non sarei vivə oggi se non fosse per lei. Prima che avessi il coraggio per descrivere chi ero, Urvashi mi ha vistə. […] Urvashi mi ha fattə sentire come se potessi crescere e diventare l’adultə che sono ora. Mi ha mostrato che la vita queer era possibile… e bella»
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