A come "antichi!". Ovvero tutti gli altri.
B come Bobos. Ovvero bourgeois bohemiennes, la nuova generazione di giovani e no, un frullato di hyppies e di yuppies, borghesi di fatto – ma guai a chi glielo dice – e bohemiennes di ispirazione.
C come cucina. I Bobos cucinano ma soltanto nella loro ipersofisticata cucina in metallo satinato, un mondo perfetto dove tutti gli elettrodomestici dialogano su internet informando in tempo reale il loro padrone – al lavoro, of course – sulla cottura del cous cous o sull’altezza raggiunta dal soufflé.
D come drink. Gin tonic e Negroni soltanto se il Gin è indiano; Champagne e Sauterne a fiumi; vini più rossi che bianchi ma millesimati oppure del contadino; e soprattutto acqua minerale da bere sempre, in strada, in ufficio, a Messa, al Supermarket, ai musei, al mattino a digiuno, prima di dormire e preferibilmente lontano dai pasti.
E come etnico. Mercatini introvabili, chincaglierie marocchine, grassi Buddha, anoressiche Visnù, incensi tibetani e candele vietnamite: la loro casa è il loro catalogo dei viaggi, il riassunto sbrigativo di un bazaar multietnico.
F come fashion. Soltanto le grandi marche, soltanto quelle storiche abbinate però agli stilisti all’avanguardia e ad un po’ di studiatissimo vintage: giubbini tecnici, cashmere 1000 fili, trench militari e scarpe da sbarco sulla Luna.
G come giornali. Molto meglio dei libri, molto più veloci. E rigorosamente stranieri. Dutch, I-D, Interview e Wallpaper. Da consultare come calendario-promemoria o da sistemare in salotto in bellavista per far colpo e per mostrarsi sempre up to date.
H come hi tech. Il futuro adesso, please. Anzi, in anteprima. Palmari che dialogano con telefoni che informano sulle e-mails che azionano hi-fi che si collegano al DVD.
I come internet. Vero motore rivoluzionario, è il loro genitore, la mamma premurosa e il papà giudizioso; il fratello-amico dei loro sogni e il principe azzurro della chat dei loro desideri.
L come lavoro. I bobos sono orgogliosi delle 14 ore spese in ufficio perché sono felici di svolgere un lavoro creativo. Ci hanno messo tanto e ora sono fieri di ribadirlo: loro lavorano per il piacere, non per il dovere. Che poi abbiano un reddito a svariati zeri è un’altra storia.
M come musica. Techno hip-hop electric lounge jazz-fusion: non è importante cosa si ascolta ma il numero degli aggettivi che servono per descriverla. E soprattutto che venga da lontano e sia sconosciuta alla massa.
N come naturale. Guai alla genetica alimentare, guai a tutto ciò che è modificato, aggiunto e trasformato. Discepoli dei discepoli di Seattle anche se approvano la globalizzazione, animalisti ed ecologisti e qualche volta pure vegetariani. Ying e Yang, macrobiotici e vegani, omeopatici e ipocondriaci: un cocktail di tuttologia new age servito in un bicchiere di carta riciclata.
O come ottanta. Aborriti, misconosciuti, ripudiati e disprezzati. Morte a chi li nomina, vergogna per chi se li ricorda: la loro adolescenza è stata un limbo di silenzio e di meditazione in attesa della new economy.
P come palestra. Mens sana in corpore sano. Poco importa che per loro il ginnasio di Atene siano i primi due anni del Liceo. La forma fisica, intendiamoci, è espressione dell’equilibrio, non del testosterone o degli anabolizzanti. E allora apritevi porte al power step yoga, all’acqua gym stretching e al re-birthing. E all’immancabile personal trainer, che mischiarsi con tutte quelle carni sudanti porta un mucchio di energia negativa.
Q come quartiere. Centrale ma non troppo, ad alta densità etnica e molto folcloristico. Importante stabilirci il proprio loft o l’appartamento ma poi svuotarli di tutto, ma proprio tutto: ammessi solo tatami, fouton, cibattine infradito, piante, quadri senza cornici e cornici senza quadri.
R come ristoranti. Macrobiotici oppure stile trattoria introvabile nella campagna fuori porta. La vera cosa che li manda in visibilio è però un aggettivo: fusion. Ovvero vai in un ristorante a Milano e mangi il primo in un limbo sospeso tra Giappone e Perù, il secondo in un mix tra Marrakesh e Singapore, il contorno tra Francia e Libano e il dolce in una spiaggia a metà tra Isola Greca e palmizio caraibico.
S come spiritualità. Professano ogni religione ma non ne praticano nessuna. Al primo posto della loro hit-parade da sottobosco culturale di Bibbia, Corano e massime di Confucio ci sta bello grasso il Buddha gaudente, of course.
T come TROTINETTE, il famoso monopattino, l’ultimo tormentone su cui sgambettare in giro per la città che li fa sentire tanto monelli spensierati.
U come understatement. Snob verso tutto, più per partito preso che per altro. Vaglielo a spiegare, poi, che snob significa sine nobilitate, senza nobiltà.
V come vacanze. Assolutamente fuori stagione. E poi togliete dal loro vocabolario la parola "turismo". Loro sono viaggiatori – anche se Bowles non l’hanno mai letto – e vanno solo in zone del pianeta dove tutto è ancora intatto. Senza mai staccarsi dalla Lonely Planet, però.
Z come zen. Assenza di tutto il superfluo, presenza di tutto il necessario. Nel loro caso vuole dire la stessa cosa.
Fate attenzione: si professano politically correct ma sono più discriminanti di quanto sembrino.
E se proprio volete ferirli nel loro amor proprio, pronunciate – in francese, s’il vous plait – la seguente frase di Jean Cocteau: "Un petit bourgeois est un prolétaire qui devient petit en voulant devenir bourgeois".
Per saperne di più: "Bobos in Paradise – The new upper class and how they got there" di David Brooks – Ed. Simon&Schuster
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