Sentenza imprevista della Cassazione nel caso di Don Seppia, non tanto per gli esiti per l’imputato, condannato a rimanere in carcere in attesa della sentenza, quanto per le parole usate dai giudici. L’ex prete accusato di tentata violenza sessuale nei confronti di minorenni della parrocchia ha una "spiccata e perversa inclinazione" tale da rendere la custodia in carcere l’unica misura applicabile.
Quel che però stupisce di più nelle motivazioni della quarta sezione penale della Cassazione nel respingere il ricorso contro la custodia in carcere è "la sussistenza di un pericolo di recidiva particolarmente elevato in special modo in ordine ai reati a connotazione sessuale alla stregua della spiccata e perversa inclinazione del Seppia a rivolgere le proprie attenzioni omosessuali pedofile nei confronti di giovanissimi frequentatori della parrocchia, come anche ammesso dallo stesso indagato o comunque di bambini anche 12enni".
Secondo i giudici della Suprema Corte, quindi, la pedofilia sarebbe di tipo eterosessuale o omosessuale e non semplicemente pedofilia e in quanto tale una perversione come stabilito dall’Organizzazione mondiale della Salute diversamente dall’omosessualità. Ecco perché, secondo la Cassazione il Tribunale in maniera "logica" ha valutato "inadeguata qualsivoglia misura cautelare la cui osservanza risulti rimessa all’esclusiva volontà dello stesso indagato". In definitiva, spiega la Cassazione che la custodia in carcere per Don Seppia "è la misura più adeguata a impedire la prosecuzione dell’attività criminosa".
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